“La Chiesa locale, poi, ha manifestato tutta la propria fantasia e creatività nello sperimentare forme per raggiungere i propri fedeli. La premura del Vescovo e dei pastori delle comunità parrocchiali hanno fatto sì che vi fosse un salto qualitativo nell’utilizzo degli strumenti digitali, pur di far arrivare nelle case un messaggio di consolazione e permettere in qualche modo la partecipazione all’Eucaristia.
La mia esperienza in questo tempo mi ha convinto che il digitale è capace di generare presenza, una presenza diversa da quella fisica, ma, forse, non meno effettiva. Tutte le attività proprie del tempo di Quaresima e Pasqua, l’Eucarestia e il Rosario quotidiani, gli esercizi spirituali, le meditazioni del nostro Vescovo, le Adorazioni eucaristiche, la liturgia delle ore, le attività per i ragazzi sono state trasferite alla realtà digitale.
Mentre celebravo la messa con il viceparroco, in diretta streaming, sia io che lui avevamo la percezione che i parrocchiani fossero ‘connessi’, non soltanto grazie alla rete internet, ma soprattutto per lo Spirito Santo, che trasforma le case in chiese domestiche. Non ci siamo mai sentiti soli, né noi come pastori, né i parrocchiani”.
Ma non c’è il rischio che, spostandosi nel virtuale, anche la fede perda consistenza reale?
“Ammetto che all’inizio non ero convinto dell’efficacia dei mezzi virtuali per veicolare in modo così rilevante la fede. Ritenevo che il virtuale non riuscisse a garantire una presenza efficace dei fedeli alle attività. E, invece, mi sono dovuto ricredere: la situazione emergenziale ha dato l’occasione per rendere reale il virtuale.
Nell’Esortazione apostolica ‘Christus vivit’, papa Francesco ha detto che i social sono una modalità per annunciare il Vangelo. Papa Benedetto XVI, ancor prima, in occasione del Convegno ecclesiale nazionale del 2006 a Verona, ha tracciato il cammino per la ‘nuova evangelizzazione’, dell’annuncio dell’unico Vangelo nella molteplicità delle forme, comprese quelle digitali. Dobbiamo imparare ad abitare la piazza digitale, rendendola umana.
Naturalmente, con la cessazione dell’emergenza, la vita liturgica e sacramentale riprenderà a svolgersi in presenza, pur rispettando le regole del Protocollo CEI-Governo e le disposizioni del vescovo. Questa è una dimensione irrinunciabile della nostra fede: dobbiamo tornare a celebrare attorno allo stesso altare il Mistero di Cristo, abbiamo bisogno di nutrirci dello stesso Pane Eucaristico, dobbiamo fare comunione, in una rinnovata Pentecoste.
Ma non possiamo dimenticare che la dimensione digitale ha acquisito un’importanza pastorale fondamentale: anche senza pensare all’ipotesi di un nuovo blocco, la ‘normalità’ potrebbe essere segnata da un incremento degli incontri online, ad esempio per la formazione catechistica o la pastorale”.
Molti hanno notato che le Messe con il popolo sono ricominciate proprio il giorno del centenario della nascita di San Giovanni Paolo II: che suggestioni ha avuto?
“La data del 18 maggio, per il profondo legame personale e comunitario con Giovanni Paolo II, non è stata casuale. Il credente vede in questo il segno della paterna bontà di Dio, di un Dio che, come ci ha insegnato san Giovanni Paolo II, esercita una ‘salvatrice potestà’. Il coronavirus ci ha ricordato che non siamo onnipotenti, che la scienza e la tecnica sono sì fondamentali, ma non possono dare la risposta al dramma umano.
Però, abbiamo potuto pregare con un’intensità non solo quantitativa, ma soprattutto qualitativa, che non sperimentavamo da tempo. Il 18 maggio, celebrando sulla tomba di questo santo pontefice, papa Francesco ha affermato che in Giovanni Paolo II, Dio ha visitato il Suo popolo. Nel vuoto desolante e rumoroso che ha afflitto il nostro Stato e la nostra Europa, l’icona di Giovanni Paolo II si staglia come appello a riscoprire la nostra identità cristiana, solidale, aperta e gioiosa e a ricostruire su solide basi la civiltà dell’amore”.
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