C’è da dire le competenze della CED sono state spostate più volte durante la riforma dell’economia vaticana. Con lo stabilimento della Segreteria per l’Economia, il controllo delle operazioni era passato nel nuovo “ministero delle finanze vaticano”. Nel 2016, però, Papa Francesco, con il motu proprio I beni temporali, aveva ristabilito la separazione tra vigilanza e gestione, superando alcune “anomalie” che erano presenti nello Statuto della Segreteria per l’Economia, come il fatto che la Segreteria doveva fornire “i servizi amministrativi e tecnici necessari per l’attività ordinaria dei dicasteri della Santa Sede”.
Si torna, insomma, grosso modo all’inizio della grande riforma dell’economia vaticana lanciata da Papa Francesco, con ulteriori aggiustamenti che in alcuni casi vanno a ripristinare situazioni che erano state già corrette.
Sullo sfondo, resta anche il dibattito sulla gestione degli investimenti finanziari. Con la costituzione della Segreteria per l’Economia si era pensato di stabilire un Vatican Asset Management, per la gestione centralizzata degli investimenti, per i quali c’era in generale autonomia da parte dei vari dicasteri. Questo progetto non è mai decollato davvero, anche perché rimaneva aperta la questione sulla natura del fondo: doveva essere un fondo “sovrano”, legato all’APSA, e doveva essere un fondo finanziario governato secondo regole di mercato?
Una diatriba che aveva portato anche la Segreteria per l’Economia a firmare un contratto di revisione esterna dei conti con Pricewaterhouse Cooper che poi era stato rinegoziato, anche per chiarire alcune situazioni, come il fatto che per legge, il compito della revisione contabile è affidata all’Ufficio del Revisore Generale, come avviene di regola in ogni Stato sovrano
. Ultimamente, specie con le recenti questioni finanziarie legate all’acquisto di un immobile di pregio a Londra che ha portato poi a perquisizioni e indagini in Segreteria di Stato, è ritornato il tema di una gestione centralizzata degli investimenti. E in questo momento, è la Segreteria dell’Economia guidata dal gesuita Guerrero a godere della fiducia del Papa, e a diventare centrale verso un riassetto della gestione finanziaria che ha l’intenzione, in futuro, di portare non solo a un maggiore controllo, ma anche a generare maggiori profitti.
La decisione del Papa sembra dunque essere parte anche di una generale riorganizzazione degli investimenti della “Banca Centrale Vaticana”.
A motivo di questa razionalizzazione degli investimenti, sono state chiuse negli scorsi giorni 9 società facenti riferimento all’APSA stabilite in Svizzera. Il patrimonio delle società (40,3 milioni di franchi di attivi e 12,7 milioni di debiti verso terzi) è stato trasferito sotto la più “anziana” delle nove holding, la
Profima Société Immobilière et de Participations di Ginevra, costituita nel 1926 dal banchiere della Comit, Bernardino Nogara, su incarico di Pio XI. Queste società erano state costituite per investire l’indennizzo che lo Stato italiano aveva pagato alla Santa Sede a seguito dei Patti Lateranensi: 750 milioni di lire in contanti e un miliardo in buoni del tesoro al 5 per cento.
Con questa razionalizzazione in Svizzera, l’APSA ha quindi ridotto il numero di consigli di amministrazione, di amministratori delegati, di revisori e conseguentemente di spese. Al momento, l’APSA ha tre holding all’estero: la Profima in Svizzera, la British Grolux Investments per la Gran Bretagna, e Sopridex sa in Francia.
La razionalizzazione serve anche a gestire le perdite di bilancio, che rischiano di essere molto alte quest’anno. Nella riunione dei capi dicastero del 3 maggio scorso si è parlato dell’impatto della crisi coronavirus sulla Curia, e stabilendo tre possibili scenari, dal più pessimista al più ottimista.
Parlando con Vatican News negli scorsi giorni, padre Guerrero, prefetto della Segreteria per l’Economia, ha spiegato che la Santa Sede ha un buco di 50 milioni l’anno, perché ha 320 milioni di spese e 270 milioni di entrate, in buona parte provenienti da donazioni e rendimenti di immobili.
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