Nel 1989, viene nominato vescovo. “Ho pensato a lungo se accettare questo incarico – racconta Kondrusiewicz – e poi mi fu chiaro che era necessario un vescovo in Bielorussia. Tutti attendevano la restaurazione della Chiesa in Russia e in Bielorussia. Così ho accettato. Si era deciso sarei stato ordinato vescovo a San Pietro. Fui chiamato a Roma, incontrai i responsabili dei dicasteri. Allora non conoscevo molto bene l’italiano, e così avevo un traduttore. Incontrai anche il Papa”.
L’arcivescovo di Minsk racconta che “Giovanni Paolo II era molto interessato alla posizione della Chiesa cattolica, e in generale alla fede in Unione Sovietica e in particolare in Bielorussia. Mi chiedeva quante parrocchie ci fossero, quanto Grodno fosse lontano da Minsk, cosa ci fosse a Minsk. Le celebrazioni era quasi tutte in polacco, perché solo alcuni sacerdoti conoscevano il bielorusso. Giovanni Paolo II mi disse con chiarezza: ‘Dobbiamo avere una Chiesa cattolica bielorussa. La Chiesa ha il diritto di esistere qui e dovrebbe essere la Chiesa cattolica bielorussa”.
Kondrusiewicz continua il racconto: “Quando abbiamo fatto la foto con il Santo Padre, avevo una faccia molto spaventata. Giovanni Paolo II mi guardò, mi prese le mani (ricordo ancora queste mani forti) e disse: ‘Non aver paura, prego per te!”.
Durante gli anni come vicario apostolico di Minsk, Kondrusiewicz riesce ad riaprire 97 chiese e un seminario a Grodno. E viene chiamato nel 1991 a servire come amministratore apostolico della Russia Europea, dove “c’era una situazione completamente diversa”.
Kondrusiewicz incontra Giovanni Paolo II prima di andare a Mosca, durante il viaggio del Papa in Polonia del 1991. “Il Papa – racconta – voleva davvero conoscere la situazione specifica fin nei minimi dettagli. E ogni volta che lo ho incontrato, mi diceva: ‘Ci dovrebbe essere una Chiesa cattolica russa in Russia’. Sentiva molto chiaramente questo problema di avere in Giappone, una Chiesa giapponese, in Bielorussia una Chiesa bielorussa, e poi una Chiesa ucraina in Ucraina e russa in Russia. Si sentiva il desiderio pastorale del Papa di raggiungere ogni persona”.
Kondrusiewicz sottolinea che il Papa era prima di tutto “il Pastore della Chiesa ecumenica”, un pastore che sapeva essere pragmatico quando necessario.
Per esempio “all’inizio degli Anni Novanta, ci era chiaro che era semplicemente impossibile tradurre il Messale Romano in russo e approvare le traduzioni in Vaticano. Ho proposto allora di approvare inizialmente solo le formule dei sacramenti, e poi di modificare il resto in seguito. Fu difficile spiegare la questione agli officiali della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. In Vaticano non avevano fretta, ma noi avevamo bisogno di celebrare. Così, ho parlato direttamente con Giovanni Paolo II, e il problema era realmente risolto”.
Kondrusiewicz si sofferma anche sulla sensibilità ecumenica del Papa. “Giovanni Paolo II – dice – desiderava sinceramente il benessere e il successo della Chiesa ortodossa russa, perché comprendeva che quella era la Chiesa maggioritaria, che aveva la responsabilità primaria del risveglio spirituale del Paese”.
Questa sensibilità si vedeva, spiega Kondrusiewicz, nel dono dell’icona della Madonna di Kazan alla Chiesa ortodossa russa, o nel fatto che le diocesi cattoliche in Russia non prendono il nome delle città, ma i nomi delle cattedrali a cui fanno riferimento, nonché nella disponibilità del Papa a rivedere le forme del primato petrino nell’enciclica Ut Unum Sint.
Kondrusiewicz ricorda anche il senso dell’umorismo di Giovanni Paolo II. L’arcivescovo ha sempre amato giocare a calcio, e si ruppe il tendine di Achille durante una partita. Così, arrivò a presentare il catechismo della Chiesa cattolica in lingua russa a Roma con le stampelle. Giovanni Paolo II si era rotto l’anca poco prima. E, guardando Kondrusiewicz, gli disse: “Sono più vecchio di te, ma non sono caduto tanto quanto te!”
L’ultimo incontro tra Giovanni Paolo II e Kondrusiewicz risale all’8 marzo 2005, al Gemelli. “Quando entrai nel reparto, la prima domanda che mi fece fu: ‘Come si sente a Mosca?’ E mi viene da pensare che, dalla casa del Padre Celeste, il Papa vede in prima persona ciò che sta accadendo a Mosca.
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