Kabul , lunedì, 18. maggio, 2020 10:00 (ACI Stampa).
"Lontane rive di silenzio cominciano appena di la' dalla soglia/Non le sorvolerai come un uccello. / Devi fermarti a guardare sempre più in profondità/ finché non riuscirai a distogliere l'anima dal fondo". Questi versi sono scritti da Karol Wojtyla quando ha 26 anni, nel 1946, quando sta prendendo forma computa, in lui, una dimensione artistica che poi si intreccera' strettamente alla vocazione religiosa. Sacerdozio e arte, teologia e poesia, non sono esperienze e passioni diverse, ma strade che portano verso la stessa meta: il Bello, il Vero, l'incontro con Dio, lo spalancarsi dell'anima all'infinito, per cui è stata creata.
Oggi ricorre il centenario della nascita di Wojtyla. Nel 1946, quando appunto scrive i versi citati, ha già sperimentato la paura, la morte, la persecuzione. Vive profondamente la propria fede, ama intensamente la vita, gli amici, così come ama la sua terra, la Polonia, ama la poesia, il teatro, la preghiera, che per lui formano un'unità imprescindibile. Non sa certo quel che lo aspetta, si affida completamente alla Provvidenza. Per lui ci sono in serbo grandi cose, grandi speranze, e grandi dolori. Diventerà vescovo, cardinale, Pontefice. Diventerà santo. E, in fondo, sarà sempre anche poeta, drammaturgo, amante del Bello e del Vero.
In questi giorni molto si è scritto e si è detto sulla sua figura immensa, su quanto ha fatto e sulle infinite ripercussioni che il suo agire e il suo pensare hanno avuto non solo sulla storia della Chiesa, ma sulla storia in generale. Forse, però, il suo lato artistico, per così dire, è rimasto più in ombra.
Eppure di "innata predisposizione poetica" hanno parlato, riferendosi proprio a questo aspetto della personalità del futuro papa Giovanni Paolo II, molti studiosi e critici. La produzione poetica e teatrale di Wojtyla si articola lungo un arco di tempo che va dal 1936 al 2002. Insomma, abbraccia l'intero arco della sua esistenza. Dai versi del "Canto del Dio nascosto", a cui appartengono i versi citati prima, alla "Cava di pietra", raccolta del 1956, in cui emerge con potenza e illuminazione il tema del lavoro umano, percepito come sacro, non riducibile a inesorabile necessità per la sopravvivenza, o addirittura ad alienazione. I versi sono forgiati da esperienze concrete, come quelle del lavoro in nuda cava di pietra, durante l'occupazione nazista della Polonia, e come operai nelle industrie chimiche Solvey, presso Cracovia. Comprende che la dignità nel lavoro sia la chiave per forgiare l'autenticità dell'essere umano. Poco dopo, prende la grande decisone: diventare prete. Parte per Roma, poi torna nella sua patria che ora vive la tragica esperienza di un nuovo totalitarismo, quello comunista.
La vita e la passione si riversano copiose anche nelle opere teatrali. Del resto, il giovanissimo Karol ha calcato le scene a lungo. Gli piace moltissimo declamare versi a voce alta e nel tempo ha affinato quel gusto per la lingua, per la parola assaporata, quasi, levigata, lanciata verso il pubblico, così come verso il lettore, quella parola che possiede una storia, che riassume in se' il destino di un popolo. Non a caso, quando si iscrive all'università, a Cracovia, sceglie la facoltà di filologia, polacca.