Padova , venerdì, 15. maggio, 2020 18:00 (ACI Stampa).
Sessantadue colpi di pistola. Esplosi per martoriare quel corpo accasciato sulla strada, in pochi, terribili secondi. È il due marzo 2011, a Islamabad, in Pakistan, un commando di terroristi fondamentalisti affianca l'auto in cui si trova Shahbaz Bhatti, leader del Fronte cristiano di liberazione, uomo di pace e di fede che vuole cambiare dal profondo il suo Paese, e in fondo il mondo intero. Finisce così, nel sangue e nella violenza, l'avventura umana straordinaria di Bhatti, offuscando la speranza che aveva suscitato, ovunque.
Shahbaz significa aquila. E come un'aquila è volato "alto", ha spinto lo sguardo molto al di là della realtà difficile, delle divisioni, dei pregiudizi, delle brutalità. Lo spiega e lo racconta un libro appena pubblicato dalle Edizioni Messaggero Padova. Il titolo è appunto "Shahbaz Bhatti. L'aquila del Pakistan", scritto da Paolo Affatato, giornalista e saggista, ed Emmanuel Parvez. Quest'ultimo è un sacerdote pakistanoovunque, cugino e confidente spirituale di Bhatti, fonte primaria di notizie e testimone di quanto accaduto e soprattutto capace di restituire nella sua completezza, la figura, anche interiore, di Shahbaz.
La sua è una famiglia cattolica di Khushpur, villaggio nella provincia del Punjab. Un piccolo villaggio tra infiniti campi di riso, riso di cotone, di canna da zucchero. Orizzonti vasti, verso i quali lo sguardo comincia a misurarsi con l'infinito; strade, case, piccole piazze dove tutti si conoscono e vivono come un'unica comunità. Khushpur ha una particolarità: in un paese a maggioranza islamica, questo è un agglomerato quasi totalmente abitato da cattolici, una vera rarità. E comunque qui si vive pacificamente, in comunione. Del resto, il nome del villaggio in lingua urdu significa "terra della felicità". Qui il piccolo futuro leader cresce davvero felice, distinguendosi fin dalla più tenera età per la sua fede, per il suo impegno, per la sua capacità di sognare in grande e progettare ideale e sogni.
E infatti, nonostante la serenità e la felicità quotidiana, Shahbaz sente che quegli orizzonti, che lui intravvede oltre i campi coltivati e le messi ondeggianti al vento, lo chiamano ad un'altra vita, in cui i valori e gli ideali, la fede e il suo amore verso il prossimo siano pienamente vissuti.
Sente acutamente il peso delle ingiustizie, della violenza, delle discriminazioni. Si allontana dal villaggio e proprio come un'aquila spicca il volo. Capisce che per incidere concretamente nella realtà deve impegnarsi in politica, senza cedere ai compromessi, vivendola come servizio e non certo come strumento di potere o sistema per fare carriera. Decide di fondare un partito, che si chiamerà "Fronte popolare pakistano di liberazione", diventa membro del Partito popolare pakistano e nel 2008 viene nominato ministro per gli affari delle minoranze del Pakistan. Questo modo di vivere la politica, esponendosi in prima persona, ingaggiando battaglie che raccolgono intorno a sé l'entusiasmo e il sostegno di moltissimi, ma attirano su di lui odio e voglia di vendetta. Dalla sua parte i poveri, gli emarginati, le donne. E anche personaggi pubblici come Benazir Bhutto, la prima donna che ha guidato un governo democratico in una nazione ma maggioranza musulmana. Li ha accomunati un destino tragico: anche lei è rimasta uccisa in un attentato nel 2007. E lega il proprio nome soprattutto allo scottante tema della legge sulla blasfemia, che tante vittime ha mietuto. Un caso da citare su tanti: quello di Asia Bibi, la donna cristiana, madre di famiglia madre, rinchiusa per anni in carcere, condannata a morte e infine liberata grazie alle pressioni internazionali.