Etchmiadzin , venerdì, 24. aprile, 2020 11:00 (ACI Stampa).
Oggi a mezzogiorno, le campane di tutte le chiese di Armenia suoneranno a memoria di tutte le vittime del genocidio armeno. Ma il 105esimo anniversario della tragedia che colpì il popolo armeno non avrà grandi manifestazioni pubbliche, per via dell’emergenza coronavirus: a Etchmiadzin, la Sede Madre della Chiesa Apostolica Armena, si terrà una Divina Liturgia a porte chiuse, e così sarà in tutte le chiese, in una comunione spirituale. Ma non sarà possibile andare a Tsitsernakebard, al Museo del genocidio, per riunirsi lì, sotto il “nido delle rondini” e fare memoria di quello che è successo.
La più antica nazione cristiana del mondo, quella in cui la storia non si misura in secoli, ma in millenni, si trova così in un momento della storia che sembra essere sospeso. Ma la storia scorre in Armenia sotto gli occhi di tutti, la memoria è un esercizio cruciale per un popolo che ha fatto del libro una sorta di culto, e che ritiene che la sua fede sia stata salvata da 36 soldati, che sono poi le lettere dell’alfabeto.
“La Santa Sede di Ethcmiadzin – si legge in una nota della Chiesa Apostolica Armena – invita i bambini della nostra gente a pregare nelle loro case in questo giorno sacro, nelle difficili condizioni della pandemia, e a pregare Dio per l’intercessione dei nostri santi martiri per la vita sana e sicura della nostra gente in tutto il mondo e per la pace e la prosperità della nostra patria”.
Le campane hanno suonato anche ieri sera alle 9, per tre minuti continui, mentre sono state spente le luci nella capitale Yerevan e in ogni regione per commemorare il genocidio. Lo sguardo di tutti sarà verso lo Tsitsernakaberd, mentre in tutte le strade si ascoltare la canzone “Vieni mio usignolo” (Ari im sokhak) di Patkanyan. Alle 10 del mattino di oggi, ora armena, il presidente, il primo ministro e il Catholicos Karekin II andranno al memoriale e il governo armeno deporrà una corona di 105 fiori di fronte al fuoco eterno del memoriale, a nome di tutti gli armeni.
Tra il XIX secolo e l’inizio del XX, milioni di armeni furono deportati, fino ai tragici fatti del 1915. È noti, grazie al lavoro di padre Henry-Georges Ruyssen, l’impegno della Santa Sede per aiutare e salvare i rifugiati. Addirittura, Benedetto XV accolse dei rifugiati armeni nella residenza pontificia di Castel Gandolfo e aveva scritto tre volte al sultano di Turchia per chiedergli di fermare lo sterminio.