Roma , mercoledì, 22. aprile, 2020 9:00 (ACI Stampa).
L’emergenza coronavirus “ci sta insegnando che le vicende dell’esistenza rimescolano le carte a volte in maniera improvvisa, rivelando la nostra realtà più fragile. Ci ha fatto comprendere quanto è importante la solidarietà, l’interdipendenza e la capacità di fare squadra per essere più forti di fronte a rischi ed avversità. L’emergenza sanitaria porta con sé una nuova emergenza economica”. Lo scrivono i Vescovi Italiani nel messaggio in occasione del 1° maggio, festa del Lavoro.
“Nulla sarà come prima”, è la denuncia della Cei.
“La crisi sanitaria e quella economica- prosegue il messaggio - gravano sensibilmente sulla qualità e sulla dignità del lavoro. Si generano purtroppo una quantità rilevante di persone scartate. Il problema della qualità e della dignità del lavoro si intreccia con altre dimensioni di insostenibilità tipiche dei nostri giorni. Quello che l’attualità ci sta chiedendo di affrontare, senza ulteriori ritardi o esitazioni, è una transizione verso un modello capace di coniugare la creazione di valore economico con la dignità del lavoro e la soluzione dei problemi ambientali”.
“Le emergenze dei nostri giorni – ricordano ancora i Vescovi - sono la spia di un problema più profondo che riguarda l’orientamento della persona. L’orizzonte è quello dell’ecologia integrale della Laudato si’, che riprende e attualizza il messaggio della Dottrina sociale della Chiesa per far fronte alle nuove sfide. Abbiamo bisogno di un’economia che metta al centro la persona, la dignità del lavoratore e sappia mettersi in sintonia con l’ambiente naturale senza violentarlo, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile”.
Bisogna dunque “costruire un’economia diversa non solo è possibile” poiché “è l’unica via che abbiamo per salvarci e per essere all’altezza del nostro compito nel mondo. E’ in gioco la fedeltà al progetto di Dio sull’umanità. Per ridare forza e dignità al lavoro dobbiamo curare la ferita dei nostri profondi divari territoriali. Dobbiamo altresì avere il coraggio di guardare alla schizofrenia del nostro atteggiamento verso i nostri fratelli migranti”.