Invece, la nuova normativa recita che “la sentenza che per la prima volta che dichiarò la nullità del matrimonio, decorsi i termini stabiliti, diventa esecutiva.” L’appello dunque non è più obbligatorio, ma resta comunque possibile.
Così facendo, si snelliscono le procedure, secondo una richiesta che era venuta fuori con forza durante il Sinodo dei vescovi del 2014, anche se comunque quello dello snellimento delle procedure – che a volte duravano anni – era un dibattito che si teneva da tempo nel cuore della Chiesa.
Se da un lato c’era comunque l’idea di superare la doppia sentenza conforme, dall’altro canto si pensava ad un sostanziale inasprimento del primo grado di giudizio, in modo di non rendere “leggero” il processo per la dichiarazione di nullità. Una volontà – quella di non concedere le nullità a cuor leggero – che i Papi hanno sempre espresso nei loro discorsi alla Rota Romana e alla Segnatura Apostolica. Lo stesso Papa Francesco, ricevendo il Supremo Tribunale della Segnatura l’8 novembre 2013, aveva chiesto di difendere il vincolo matrimoniale, esaltando il ruolo del difensore del Vincolo, che – aveva sottolineato il Papa - non solo deve essere presente per tutto il processo di nullità, ma è anche “previsto che egli debba proporre ogni genere di prove, di eccezioni, ricorsi ed appelli che, nel rispetto della verità, favoriscano la difesa del vincolo”.
Con le nuove norme, il Difensore del Vincolo ha un ruolo particolarmente importante nel preservare il matrimonio, prima che si arrivi ad una dichiarazione di nullità, e sembra quasi investito di una maggiore responsabilità. Perché il vescovo ha grandi poteri discrezionali, egli stesso ha compito di giudice, e dunque gli “compete giudicare le cause di nullità del matrimonio con il processo più breve” ogni volta in cui entrambi i coniugi siano d’accordo nel presentare la domanda, o ci sono fatti che rendono manifesta la nullità. Le cause di nullità sono comunque affidate ad un collegio di tre giudici, e il presidente del collegio deve sempre essere un chierico.
Agli effetti dell’abolizione della doppia conforme, si aggiungono gli effetti della possibilità di un processo abbreviato. In pratica, nel momento in cui viene istruito il processo per stabilire se ci sono gli estremi per una dichiarazione di nullità, si decide se questo processo può essere fatto in forma abbreviata o meno.
Perché il processo sia in forma abbreviata – lo spiegano le regole procedurali allegate al motu proprio – si devono riscontrare, ad esempio: quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo, l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione, la causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna, la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici, e poi varie altre situazioni.
Anche in questo caso, non ci sarà bisogno di una doppia sentenza conforme. Dopo la decisione del vescovo, la sentenza sarà esecutiva, a meno che non ci sia un appello. Appello improbabile, dato che si accede a questo tipo di processo solo se entrambi i coniugi fanno la richiesta.
Di certo, per arrivare all’approvazione di una dichiarazione di nullità, si dovrà aver acquisito la cosiddetta “certezza morale,” un concetto introdotto da Pio XII nel 1942, vale a dire – si legge nelle norme procedurali - che “non è sufficiente una prevalente importanza delle prove e degli indizi, ma occorre che resti del tutto escluso qualsiasi dubbio prudente positivo di errore, in diritto e in fatto, ancorché non sia esclusa la mera possibilità del contrario.”
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