Kabul , venerdì, 3. aprile, 2020 12:30 (ACI Stampa).
Una delle nazioni più difficili per la Chiesa Cattolica è l’Afghanistan. Kabul è tra il pugno e mezzo di nazioni che non ha relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Non solo: nessun cittadino afghano è considerato appartenente al cristianesimo, e ogni conversione dall’Islam è oggetto di pressioni varie che possono portare fino alla morte. Per questo, la cappella cattolica nell’ambasciata italiana a Kabul era un punto di riferimento prezioso per pochi cristiani della nazione. Quella cappella è stata chiusa la scorsa settimana, perché lo stesso compound dell’ambasciata è stato chiuso per affrontare l’emergenza coronavirus.
La notizia è stata data da padre Giovanni Scalese, sacerdote barnabita che gestisce la cappella, attraverso una nota inviata a Fides, l’agenzia della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.
Padre Scalese ha raccontato che già da fine febbraio era stata inviata una comunicazione con misure precauzionali per prevenire il diffondersi della pandemia, ma “sfortunatamente, il virus ha continuato a diffondersi”.
Scrive ancora padre Scalese: “”Anche se, grazie a Dio, in Afghanistan il contagio non ha raggiunto i livelli della Cina o dell'Italia, proprio l'esperienza di quei paesi suggerisce di non sottovalutare il pericolosità del virus. Il diffondersi dei primi casi a Kabul ha indotto le autorità dell'Ambasciata a chiudere il compound. Quindi, lunedì 23 marzo ho celebrato l'ultima messa con le suore. La partecipazione alla messa domenicale, comunque, si era già ridotta notevolmente nelle ultime settimane, un segno che molti sono già tornati nel proprio paese”.
Il padre Barnabita continua a celebrare la Messa privatamente, non sa se potrà vivere i riti della Settimana Santa perché per quelli c’è bisogno di alcuni ministri, esorta tutti a “vivere questo periodo di prova in uno spirito di penitenza e riconciliazione”, e ha invitato a pregare “ogni giorno la Coroncina della Divina Misericordia o il Santo Rosario.