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Papa Francesco, è tempo di reimpostare la rotta della vita verso il Signore, e gli altri

La preghiera e il servizio silenzioso sono le nostre armi vincenti

Il Papa a Piazza san Pietro  |  | Vatican Media
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Papa Francesco in Piazza San Pietro  |  | Vatican Media
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Papa Francesco in Piazza San Pietro  |  | Vatican Media
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Il Papa a Piazza San Pietro  |  | Vatican Media
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Da settimane sembra che sia scesa la sera. E come i discepoli nella tempesta sul lago si sentono perduti così noi oggi. “Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda”. Papa Francesco ha chiamato il mondo intero a pregare tramite i mass media in Piazza San Pietro, per poi benedire la città e il mondo come si fa nelle occasioni solenni.

Una benedizione che da anche la indulgenza plenaria perché è quasi impossibile confessarsi e ricevere l’ Eucarestia.

Al centro allora ecco proprio l’ Eucarestia, e alle spalle del Papa la Salus Populi romani e il Crocifisso di San Marcello al Corso. Non è la prima volta che arriva a San Pietro. Veniva portato in basilica durante gli Anni Santi e nel 2000 ce lo portò Giovanni Paolo II.

Nella omelia Papa Francesco commenta proprio quel passo del Vangelo della tempesta sedata.

I discepoli terrorizzati e Gesù che dorme. “Quando poi viene svegliato,- dice il Papa- dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?»”.

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I discepoli lo invocano: “pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati”.

La tempesta, spiega il Papa, “smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.

Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella benedetta appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.

Siamo andati avanti, dice il Papa, avidi di guadagno “non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”.

Ora il Signore ci rivolge un appello di fede, e “ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta” è “il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri”.

Il Papa guarda alla “forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni”. Che “non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermieri e infermiere, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo”.

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Allora il Papa ricorda chi ogni giorno esercita la “pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti”.

Dobbiamo ricordarci che, dice il Papa, “non siamo autosufficienti, da soli affondiamo”.

Il Signore, spiega Francesco, “ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale”.

Ed è la croce di Cristo il nostro timone: “il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza”.

Per abbracciare la croce occorre il coraggio di “abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare” si deve “abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza”.

E conclude il Papa: “Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura». E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi””.

Il Papa è arrivato al centro della piazza a piedi, da solo ed è salito sul palco usato per l’udienza generale assistito da monsignor Guido Marini.

Dopo la meditazione e l’adorazione eucaristica il Papa concede la Benedizione Eucaristica data "urbi et orbi" e la relativa indugenza plenaria.