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Erdő: la crisi del matrimonio il Sinodo e le comunità di famiglie

Il cardinale Péter Erdő, relatore generale del Sinodo |  | Daniel Ibanez/CNA Il cardinale Péter Erdő, relatore generale del Sinodo | | Daniel Ibanez/CNA

Sono in molti ad essere certi che il prossimo Sinodo di ottobre sarà decisivo per la dottrina della Chiesa sulla famiglia. Uno dei cardinali che sarà sotto i riflettori dei media è il relatore generale Péter Erdő arcivescovo di Budapest, Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa ed esperto in diritto canonico.

Creato cardinale da Giovanni Paolo II nel 2003, la sua nomina a relatore del Sinodo della Famiglia ha confermato la fiducia di Papa Francisco al cardinale ungherese. In un'intervista alla rivista spagnola Mundo Cristiano parla delle sfide del Sinodo e propone di porre l’attenzione sulle comunità di famiglie che si sostengano a vicenda.

Ringraziamo Mundo Cristiano e pubblichiamo il testo integrale della intervista.

Il prossimo Sinodo tratterà l’Evangelizzazione della Famiglia. Secondo lei, quali sono le sfide reali per la famiglia oggi?

Prima di tutto, non solo la famiglia deve essere evangelizzata, ma c’è un aspetto speciale nella attività evangelizzatrice della famiglia.  Questa è una delle le sfide principali del nostro momento storico. Il problema fondamentale è che l’esistenza stessa della famiglia e la sua identità sono in crisi. Un’altra grande sfida è la paura al matrimonio, di fondare una famiglia, di accettare i figli, perche tutto ció sembra per molti dei nostril contemporanei un impegno troppo grande, una decisione troppo difficile e seria.

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Dopo il Sinodo dell’anno scorso, sono circolate tante notizie contrastanti. `E stato un problema di comunicazione o un problema di collegialità?

Il Sinodo è una manifestazione della collegialità, un elemento essenziale della collegialità affettiva dei vescovi, sotto la guida del romano pontefice. Durante il Sinodo i vescovi del mondo parlano di un tema, ed esprimono le loro proposte. Al di là di questo ci sono diverse forme di consultazione nelle diverse diocesi, come  abbiamo visto negli ultimi mesi come i questionari diffusi via internet. Inoltre, ci sono discussioni nei mass media che sono indipendenti delle domande concrete del questionario. Questo campo é naturalmente molto vasto e possono emergere temi che non appartenevano alla tematica del sinodo, possono emergere questioni impostate diversamente dalla impostazione del Sinodo. In questo senso, Benedetto XVI parlava già prima di un “Concilio dei Vescovi” e un “Concilio dei media”, una esperienza che stiamo vedendo adesso.

Lei ha partecipato ad alcune assamblee sinodali durante la sua vita. Secondo la sua esperienza, c’è stata una attenzione mediatica maggiore nelle ultime assemblee?

Certamente, perche già durante la preparazione sono sorte delle aspettative molto forti e state lanciate delle idee abbastanza innovative che poi hanno trovato eco nell’opinione pubblica, anche tra i non credenti.

Alcuni hanno ribadito che la dottrina e la pastorale sono cose diverse. Crede che sia così? 

Questa distinzione fra pastorale e dottrina mi sembra artificiale. La Chiesa ha la Buona Novella di Gesu Cristo e questo Messaggio incide di un modo determinante sulla nostra vita. Quindi evidentemente non possono separarsi dottrina e pastorale, la teoria dalla pratica nella Chiesa.

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Gesu Cristo stesso è stato anche legislatore. In base ai Vangeli, Gesu Cristo ha formulato delle frasi che sono delle vere leggi. D’altronde, ha spiegato attraverso le parabole e, alla fine, non ha detto che “in base a questa storia, vedete qual è la legge” ma ha detto “vai e fai anche tu allo stesso modo”. Cioè dava anche degli esempi e si appoggiava nella sua testimonianza personale. Per tanto, nessuna separazione fra prassi e teoria è giustificata.

Questo non significa però che nella storia della Chiesa non ci siano stati sviluppi concettuali nella teologia. Ma tornando sempre alla base, alla persona di Gesu Cristo, troviamo la giusta espressione del suo messaggio per ogni epoca, che non è contraria alla espressione dell’epoca precedente, ma può avere anche altre formule, altri accenti.

Lei è presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa. Il problema della decadenza della famiglia è solo europeo?

I problemi del Sinodo sono abbastanza globali. Per esempio, l’individualismo lo viviamo in ogni continente. Ci sono situazioni concrete diverse in ogni continente, come le regioni in cui il matrimonio civile non è ancora riconosciuto o quelle dove esistono ancora i matrimoni combinati, dove il legame sociale alla famiglia è molto forte, ma dove la libertà individuale non si esprime.

Ci sono diverse situazioni nel mondo delle quali dobbiamo imparare tutti. Si devono cercare gli elementi preziosi di ogni tradizione e valorizzarli in un altro contesto, che non significa fare una imitazione meccanica.

Trent’anni dopo della Familiaris Consortio, è cambiato tanto il contesto sociale? Cosa può portare di nuovo il Sinodo?

La Familiaris Consortio è ancora attuale, non si può dire che sia obsoleta. Nonostante, ci siano temi che nella Familiaris Consortio non vengono fuori o sono stati appena toccati e che nel frattempo sono diventati assolutamente centrali.

E così, per esempio, con la paura alle istituzioni, l’individualismo, che ha assunto una dimensione globale. Il numero di matrimoni, anche civili, scende. Il problema non sono divorzi. Nei paesi occidentali è sceso anche il numero dei divorziati risposati, non perche la gente non divorzia, ma perche la gente non si sposa o non si sposa dopo una esperienza negativa. Come sentiamo molte volte dei nostri fratelli africani, ci sono vastissime regioni dove molti bambini nascono fuori del matrimonio, quindi non sono divorziati, ma non si sposano neanche per la prima volta. C’è una sfiducia molto piu profonda di trenta anni fa, una sfida che richiede anche un altro tipo di avvicinamento pastorale.

Qual è il motivo di questa sfiducia verso il matrimonio?

L’umanità oggi vive sotto una pressione enorme delle istituzioni. La nostra vita è regolata dall’inizio alla fine, nei minimi dettagli e le possibilità di controllo sono praticamente illimitate. E’ chiaro che naturalmente quando dsi è sottopressione si cercano le vie di uscita,  si cerca di non essere costretti a qualche forma istituzionale. In questo senso, molti preferiscono rinunciare a qualsiasi forma istituzionale.

Se il matrimonio e la famiglia sono interpretati come un’altra forma di controllo, allora è naturale che molti rinunciano. Questo però è un paradosso. L’essere umano non è un’essere isolato, ha bisogno della famiglia perche è chiamato alla vita sociale e comunitaria e, allo stesso tempo, soffre la pressione della burocrazia delle istituzioni. Per quello è fondamentale capire la famiglia, non in forma astratta, ma attraverso l’aspetto concreto di una comunità. In questo contesto, anche l’istituzione diventa un volto, diventa più comprensiva e vicina alla natura del uomo. Più attraente per molti.

Cosa può fare la Chiesa perche la gente abbia di nuovo fiducia nella famiglia?

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Prima di tutto, rinforzare le comunità di famiglie. Questo è un fenomeno mondiale. Solo per questo valeva già la pena di convocare questi Sinodi, perche è diventato chiaro che è un segno dei tempi. In tutti i continenti ci sono, esistono, vivono, lavorano queste comunità di famiglie, a volte nei movimenti spirituali, ma molto spesso anche nelle parrocchie.

Questo fenomeno è importante perché queste comunità stanno assumendo delle funzioni essenziali dentro della Chiesa, nell’evangelizzazione, nella preparazione al matrimonio, nell’ accompagnamento delle coppie...

Come assumono queste comunità queste funzioni essenziali?

Ci sono tanti che si sposano in Chiesa, ma senza una vera appartenenza alla comunità dei fedeli. Forse non hanno affrontato neanche il tema della fede personale. Però se già durante la preparazione al matrimonio, attraverso i corsi prematrimoniali, entrano in contatto con una comunità di famiglie e diventa una amicizia, forse la fede non diventa molto forte, ma rimane l’amicizia con queste famiglie. E se l’amicizia rimane, c’è speranza che successivamente possano arrivare arrivano alla scoperta della identità cattolica sacramentale del loro matrimonio.

Anche nelle crisi matrimoniali, anche nelle situazioni oggettivamente difficili, come la disoccupazione, come la malattia, come altri problemi legati alla famiglia, una comunità di famiglie di questo tipo può essere di aiuto. Queste comunità possono anche avere degli incontri, leggere insieme la Bibbia, seguire anche qualche tema teologico in base al catechismo, essere fonte di carità effettiva e di approfondimento nella fede. Una diaconia della famiglia per la famiglia.

Questa è una realtà che già esiste. La Chiesa deve rinfonzare queste comunità,  scoprirle e preparare anche i sacerdoti perché lavorino con queste comunità o aiutino altre a nascere.

Davanti ad un panorama cupo, c’è speranza per la famiglia nel mondo di oggi?

L’essere umano, per la sua stessa condizione, ha bisogno della famiglia. Gesu Cristo ha rinunciato a molte cose, ma non a crescere in una famiglia. Quindi, l’antropologia di Dio prevede, richiede, per l’essere umano la famiglia. Quello che la Chiesa può e deve fare, secondo me, è sostenere queste forme comunitarie delle quali parlavamo prima. Le comunità di famiglie sono la speranza della Chiesa perche ridanno il volto umano alla istituzione e sono anche un luogo di crescita spirituale.