Dopo il Sinodo dell’anno scorso, sono circolate tante notizie contrastanti. `E stato un problema di comunicazione o un problema di collegialità?
Il Sinodo è una manifestazione della collegialità, un elemento essenziale della collegialità affettiva dei vescovi, sotto la guida del romano pontefice. Durante il Sinodo i vescovi del mondo parlano di un tema, ed esprimono le loro proposte. Al di là di questo ci sono diverse forme di consultazione nelle diverse diocesi, come abbiamo visto negli ultimi mesi come i questionari diffusi via internet. Inoltre, ci sono discussioni nei mass media che sono indipendenti delle domande concrete del questionario. Questo campo é naturalmente molto vasto e possono emergere temi che non appartenevano alla tematica del sinodo, possono emergere questioni impostate diversamente dalla impostazione del Sinodo. In questo senso, Benedetto XVI parlava già prima di un “Concilio dei Vescovi” e un “Concilio dei media”, una esperienza che stiamo vedendo adesso.
Lei ha partecipato ad alcune assamblee sinodali durante la sua vita. Secondo la sua esperienza, c’è stata una attenzione mediatica maggiore nelle ultime assemblee?
Certamente, perche già durante la preparazione sono sorte delle aspettative molto forti e state lanciate delle idee abbastanza innovative che poi hanno trovato eco nell’opinione pubblica, anche tra i non credenti.
Alcuni hanno ribadito che la dottrina e la pastorale sono cose diverse. Crede che sia così?
Questa distinzione fra pastorale e dottrina mi sembra artificiale. La Chiesa ha la Buona Novella di Gesu Cristo e questo Messaggio incide di un modo determinante sulla nostra vita. Quindi evidentemente non possono separarsi dottrina e pastorale, la teoria dalla pratica nella Chiesa.
Gesu Cristo stesso è stato anche legislatore. In base ai Vangeli, Gesu Cristo ha formulato delle frasi che sono delle vere leggi. D’altronde, ha spiegato attraverso le parabole e, alla fine, non ha detto che “in base a questa storia, vedete qual è la legge” ma ha detto “vai e fai anche tu allo stesso modo”. Cioè dava anche degli esempi e si appoggiava nella sua testimonianza personale. Per tanto, nessuna separazione fra prassi e teoria è giustificata.
Questo non significa però che nella storia della Chiesa non ci siano stati sviluppi concettuali nella teologia. Ma tornando sempre alla base, alla persona di Gesu Cristo, troviamo la giusta espressione del suo messaggio per ogni epoca, che non è contraria alla espressione dell’epoca precedente, ma può avere anche altre formule, altri accenti.
Lei è presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa. Il problema della decadenza della famiglia è solo europeo?
I problemi del Sinodo sono abbastanza globali. Per esempio, l’individualismo lo viviamo in ogni continente. Ci sono situazioni concrete diverse in ogni continente, come le regioni in cui il matrimonio civile non è ancora riconosciuto o quelle dove esistono ancora i matrimoni combinati, dove il legame sociale alla famiglia è molto forte, ma dove la libertà individuale non si esprime.
Ci sono diverse situazioni nel mondo delle quali dobbiamo imparare tutti. Si devono cercare gli elementi preziosi di ogni tradizione e valorizzarli in un altro contesto, che non significa fare una imitazione meccanica.
Trent’anni dopo della Familiaris Consortio, è cambiato tanto il contesto sociale? Cosa può portare di nuovo il Sinodo?
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La Familiaris Consortio è ancora attuale, non si può dire che sia obsoleta. Nonostante, ci siano temi che nella Familiaris Consortio non vengono fuori o sono stati appena toccati e che nel frattempo sono diventati assolutamente centrali.
E così, per esempio, con la paura alle istituzioni, l’individualismo, che ha assunto una dimensione globale. Il numero di matrimoni, anche civili, scende. Il problema non sono divorzi. Nei paesi occidentali è sceso anche il numero dei divorziati risposati, non perche la gente non divorzia, ma perche la gente non si sposa o non si sposa dopo una esperienza negativa. Come sentiamo molte volte dei nostri fratelli africani, ci sono vastissime regioni dove molti bambini nascono fuori del matrimonio, quindi non sono divorziati, ma non si sposano neanche per la prima volta. C’è una sfiducia molto piu profonda di trenta anni fa, una sfida che richiede anche un altro tipo di avvicinamento pastorale.
Qual è il motivo di questa sfiducia verso il matrimonio?
L’umanità oggi vive sotto una pressione enorme delle istituzioni. La nostra vita è regolata dall’inizio alla fine, nei minimi dettagli e le possibilità di controllo sono praticamente illimitate. E’ chiaro che naturalmente quando dsi è sottopressione si cercano le vie di uscita, si cerca di non essere costretti a qualche forma istituzionale. In questo senso, molti preferiscono rinunciare a qualsiasi forma istituzionale.
Se il matrimonio e la famiglia sono interpretati come un’altra forma di controllo, allora è naturale che molti rinunciano. Questo però è un paradosso. L’essere umano non è un’essere isolato, ha bisogno della famiglia perche è chiamato alla vita sociale e comunitaria e, allo stesso tempo, soffre la pressione della burocrazia delle istituzioni. Per quello è fondamentale capire la famiglia, non in forma astratta, ma attraverso l’aspetto concreto di una comunità. In questo contesto, anche l’istituzione diventa un volto, diventa più comprensiva e vicina alla natura del uomo. Più attraente per molti.
Cosa può fare la Chiesa perche la gente abbia di nuovo fiducia nella famiglia?