La scelta di professori universitari come giudici era già presente, però, nella vecchia legge. Una scelta, aveva commentato in un saggio Giuseppe dalla Torre, già presidente del Tribunale vaticano, che veniva dal fatto che il personale universitario è “per natura sua è culturalmente prima ancora che giuridicamente indipendente, costituisce anche una garanzia diretta a evitare possibili contiguità con apparati dello Stato italiano o di altri Stati”, permettendo così di “evitare il pericolo, non trascurabile, di introdurre in uno degli uffici più delicati dello Stato vaticano soggetti, magari di alta competenza giuridica e professionale, che però potrebbero non garantire pienamente l’indipendenza rispetto a poteri esterni”.
Si aggiunge, però, la possibilità di includere tra i giudici anche “giuristi di chiara fama”, richiedendo però almeno la presenza di un magistrato “esperto di diritto canonico”.
Il modello, però, sembra essere sempre quello di contiguità con il mondo forense italiano, in un approccio bilaterale che è diventato evidente nelle ultime vicende finanziarie.
L’aumento del numero dei giudici arriva anche per far fronte alla quantità dei casi da affrontare, sempre di più, e in particolare alla vigilia della valutazione del comitato del Consiglio d’Europa MONEYVAL, che va a verificare questa volta l’efficacia del sistema giuridico, cioè in che modo il tribunale vaticano ha lavorato di fronte alle denunce di transazioni sospette. Si tratta di un nodo cruciale, dato che lo stesso rapporto del 2017 notava che “i risultati nella applicazione delle leggi e l’attività giudiziaria a due anni dall’ultimo rapporto restano modesti” (punto 64 del Moneyval Progress Report sulla Santa Sede del 2017).
Questo ampliamento del numero dei giudici dovrebbe anche permettere una maggiore operatività, così come l’inclusione di un giudice a tempo pieno, dedicato cioè solo ai procedimenti giudiziari vaticani in regime di esclusiva.
La stessa introduzione di questo giudice giustifica la totale autonomia di budget del Tribunale vaticano.
“Gli organi giudiziari – si legge all’articolo 3 - godono di autonomia di spesa per il loro funzionamento, sulla base e nei limiti delle disposizioni contabili vigenti nello Stato. I relativi oneri gravano sul bilancio del Governatorato”. E all’articolo 11 si chiarisce che “il trattamento economico dei magistrati ordinari è stabilito dalla Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, anche in ragione dell’eventuale regime di tempo pieno”.
Il Tribunale mantiene, dunque, una indipendenza totale. Ed è stata forse questa legge in arrivo a far meditare un passo indietro sullo stabilimento della Direzione Generale del Personale in Segreteria di Stato vaticana, annunciata il 6 marzo e poi ritirata. Come il tribunale, anche l’Istituto per le Opere di Religione ha una sua autonomia, ribadita dal nuovo statuto pubblicato lo scorso agosto.
C’è, insomma, una esigenza particolare di armonizzare tutte le riforme e le leggi, sebbene poi la discussione sembri essere frammentata.
Nell’introduzione della legge, promulgata lo scorso 16 marzo, Papa Francesco sottolinea che il primo riferimento al diritto canonico è “un collegamento fondante e prezioso che auspico possa essere sempre più esplorato dagli organi giudiziari di questo Stato, al fine di esprimerne le potenzialità ad esso sottese e che la norma giuridica rimette all’opera dell’interprete”.
Giuseppe Pignatone, presidente del Tribunale Vaticano, ricorda in un commento nell’Osservatore Romano che “la magistratura vaticana è quindi oggi chiamata ad applicare una legislazione per molti aspetti modernissima, in gran parte frutto della globalizzazione, ma innestata su codici risalenti ormai a molti decenni fa”.
Pignatone ci tiene a sottolineare che “uno dei criteri ispiratori del nuovo ordinamento è la convinzione che l'indipendenza dei magistrati e la loro capacità professionale sono condizioni indispensabili per ottenere quei risultati di giustizia indicati da Papa Francesco nelle sue premesse”.
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Per Pignatone, di una certa rilevanza sono le norme specifiche per l’Ufficio del Promotore di Giustizia, che marca una “distinzione tra magistratura giudicante e requirente, e tuttavia assicurando anche a quest'ultima autonomia e indipendenza nell'esercizio delle sue funzioni”.
L’ufficio è composto dal promotore di giustizia e da altri due magistrati ordinari, definiti promotori di giustizia aggiunti, e almeno uno di loro “svolge le proprie funzoni in regime di tempo pieno” (articolo 12).
Cambia invece la “corte di Cassazione”. Questa, si legge nell’articolo 19, è “costituita dal Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, il quale assume le funzioni di presidente, da altri due Cardinali membri del medesimo Supremo Tribunale, designati dal presidente per un triennio”.
A questi si aggiungono “due o più giudici applicati, nominati per un triennio”. Si specifica poi che “la corte di cassazione giudica ordinariamente in collegio costituito dai Cardinali giudici”, ma che “qualora sia richiesto dalla complessità della controversia o ricorrano motivi di opportunità, il presidente della corte di cassazione può stabilire che il procedimento venga trattato e deciso in collegio, integrato da due giudici applicati che egli sceglie tra quelli già nominati”.
Una modifica lodata da Pignatone, il quale sottolinea che “questa norma è frutto della consapevolezza della crescente complessità tecnica dei procedimenti trattati nello Stato e della volontà di assicurare in questo modo, anche nell'ultimo grado di giurisdizione, le necessarie capacità tecnico professionali”.
Il limite di età per i giudici è portato dai 74 ai 75 anni (le dimissioni devono comunque essere accettate dal Papa), mentre l’articolo 26 definisce il diritto di difesa “inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, in coerenza con i principi del giusto processo e della presunzione di innocenza, già introdotti nel 2013 nel codice di procedura penale (art. 350 bis)”.