Sponsorizzato dai governi di Danimarca e Kenya, non configurato come evento delle Nazioni Unite sebbene tutto si riferisse poi alle grandi organizzazioni internazionali, il summit aveva l’obiettivo di celebrare i 25 anni dalla Conferenza del Cairo su Popolazione e Sviluppo. L’agenda, però, era chiara fin dall’inizio, con l’ambizioso tema dato all’incontro: “Accelerare la promessa”.
La promessa cui ci si riferiva era, però, quella di garantire anche i servizi di salute sessuale e riproduttiva. Un eufemismo dietro cui le Nazioni Unite nascondono le politiche pro-aborto. Una promessa basata su una premessa: le donne non potranno mai godere appieno dei loro diritti se questi diritti non includono quello di poter disporre del loro corpo, e dunque anche del bambino non nato.
Per questo motivo, Santa Sede e Kenya hanno avuto anche delle frizioni diplomatiche. Santa Sede e Kenya hanno rapporti diplomatici dal 1930, quando fu eretta la delegazione apostolica di Mombasa responsabile di tutte le missioni cattoliche nelle colonie inglesi dell’Africa tropicale, compresa l’Arabia.
La delegazione fu trasferita a Nairobi nel 1959, ed è stata elevata al rango di nunziatura apostolica nel 1965.
Il 12 marzo, sarebbe stato Igor Dodon, presidente della Moldova, a far visita a Papa Francesco. Dodon è già stato in visita dal Papa nel novembre 2017, e aveva invitato il Papa a visitare il Paese. Santa Sede e Moldavia hanno relazioni diplomatiche dal 23 maggio 1992. La nunziatura è a Bucarest, in Romania, e l’attuale nunzio è l’arcivescovo Miguel Maury Buendia.
FOCUS AFRICA
In Nigeria, i cristiani sotto attacco
Tra gennaio e febbraio di quest’anno, sono stati uccisi ben 350 cristiani in Nigeria: sono i dati diffusi dalla International Society for Civil Liberties and Rule of Law (Intersociety), una ONG nigeriana che si basa sulle statistiche disponibili.
Secondo queste statistiche, si stima che i cristiani uccisi da giugno 2015 siano tra 11.500 e 12.000. Tecnicamente, non si tratta di un genocidio. La situazione dei cristiani in Nigeria però è considerata alla pari con un genocidio, e purtroppo non è sotto i riflettori del mondo.
FOCUS EUROPA
La commissione Giustizia e Pace dei vescovi croati critica la legge sull’affidamento
Il 29 gennaio 2020, in Croazia la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legge sull’affidamento. La Commissione Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Croata ha sottolineato che la legge ha provocato “dissenso e risentimento”.
La nuova legge è fatta in “un modo che permette a partner dello stesso sesso” di crescere i bambini, ed è una decisione “ambigua”, perché in questo modo – dicono i vescovi – la Corte Costituzionale si è messa nella posizione del legislatore.
La commissione Giustizia e Pace ha denunciato che la decisione è “fortemente influenzata da correnti europee e tendenze legali della visione del mondo liberale, che non è perciò neutrale”.
I vescovi hanno poi voluto sottolineare che l’affidamento è “esclusivamente per il bene del figlio”, e quindi estendere l’affidamento anche alle coppie dello stesso sesso è fatto “con grande sacrificio per il benessere del bambino in nome di alcuni valori moderni che si voleva far vedere di condividere”.
I vescovi si “oppongono strenuamente a questo sviluppo della legge”, e denunciano anche pressioni per una “revisione costituzionale” portate avanti con l’aiuto “dei media e di alcune organizzazioni non governative” che avrebbero influenzato la scelta dei giudici.
Con la conclusione dei giudici, la Corte Costituzionale punta il dito contro la discriminazione dei partner di coppie dello stesso sesso, ma lo fa – notano i vescovi – sulla base di una legge antidiscriminazione che cita esplicitamente il benessere dei minori che qui non viene tutelato.
I vescovi chiedono anche l’intervento dello Stato e delle autorità competenti, perché in questo modo “la Costituzione della Repubblica di Croazia perde forza sotto l’impatto di documenti internazionali”.
I vescovi sottolineano che “l’assenza di una madre e un padre crea ostacoli al normale sviluppo del bambino” e afferma che “non c’è alcun diritto a diventare genitore affidatario”.
FOCUS ASIA
Nelle Filippine, tre vescovi sono chiamati ad una mediazione
Filippine, tre vescovi per una mediazione. Son: il Vescovo Crispin Varques della diocesi di Borongan, a Samar orientale; il Vescovo Emmanuel Trance della diocesi di Catarman, Samar settentrionale; e il Vescovo Isabelo Abarquez della diocesi di Calbayog, sempre a Samar. Questi hanno ricevuto il compito di guidare un tema che avvierà nuovi dialoghi con i ribelli del New People’s Army, i quali hanno fatto sapere che desiderano uscire dalla clandestinità.
Il generale Pio Diñoso, comandante dell'ottava divisione di fanteria dell'esercito filippino, ha sottolineato l’importanza che i vescovi siano parte del processo di mediazione, perché “i leader della Chiesa sono considerati persone neutrali. Sono saggi e abbastanza intelligenti per capire se i guerriglieri sono sinceri; inoltre hanno conoscenza delle questioni sociali e hanno maturità spirituale".
Il 20 febbraio, i leader del governo, della Chiesa e della società civile hanno approvato una risoluzione che designa tre vescovi cattolici per condurre contatti informali con membri del gruppo comunista che opera nella regione, al fine di riallacciare le comunicazioni e indire, poi, nuove sessioni ufficiali del processo di pace.
La decisione è stata presa nel corso della 43a assemblea del "Partenariato per la pace e lo sviluppo dell'isola di Samar" (SIPPAD), piattaforma composta da rappresentanti del governo, della chiesa e della società civile provenienti dalle tre province dell'isola di Samar, che è è uno dei 12 gruppi della "Task Force nazionale" istituiti per porre fine al conflitto armato con i ribelli di matrice comunista. La piattaforma si riunisce ogni tre mesi, e include i vescovi cattolici dell’isola di Samar.
Sono cinque anni che l’NPA conduce una lotta armata contro il governo. È definita "organizzazione terroristica" da Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Filippine. Da due anni e mezzo, il governo di Rodrigo Duterte ha bloccato il dialogo con l'NPA, l'ala armata del Partito comunista delle Filippine (CPP).
Sri Lanka, le proteste del Cardinale Ranjith contro il governo
Il Cardinale Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo, ha detto che scenderà in piazza e guiderà le proteste pubbliche se il governo dello Sri Lanka non pubblicherà un rapporto credibile sugli attentati di Pasqua 2019.
“Non esiterò – ha detto alla stampa indiana lo scorso 7 marzo – a scendere in piazza per salvaguardare i diritti della nostra gente”. Il cardinale aveva supportato una inchiesta presidenziale in corso sugli attacchi che hanno ucciso 259 persone e ne hanno ferite più di 500.
Le autorità dello Sri Lanka sono state criticate per non avere evitato gli attacchi, avendo ricevuto segnali che qualcosa sarebbe successo. “Nessuno ha preso questi segnali seriamente – ha detto il cardinale Ranjith – il disastro sarebbe potuto essere evitato, perché se avessi saputo che si stava pianificando un attacco, avrei chiuso le chiese”.
Il cardinale ha chiesto lo scorso mese di rendere pubblico ciò che si sapeva in anticipo degli attacchi, ed è tornato sulla questione nell’intervista del 7 marzo.
“Sento – ha detto – che alcune delle cose che dovrebbero uscire fuori sono nascoste. Chi è stato responsabile? E chi li ha aiutati a tenere i contatti in corso?”
In un evento l’8 marzo, il Cardinale ha poi detto che le investigazioni hanno messo in luce che alcune persone del governo sono state coinvolte, e che nessuna azione è stata presa contro di loro.
Il presidente dello Sri Lanka Gotabaya Rajapaska, che ha iniziato l’incarico nel novembre 2019, ha lavorato con il cardinale Ranjith nell’inchiesta sugli attacchi e ha chiesto di nominare un rappresentante nella commissione presidenziale speciale di indagine sulle bombe. Il Cardinale non ha nominato un rappresentante, ma si è presentato personalmente davanti alla commissione.
Il cardinale Ranjith ha anche annunciato che si terranno celebrazioni dal 17 al 21 aprile per ricordare l’anniversario dell’attacco, perché “è responsabilità dell’arcidiocesi di Colombo di non dimenticare tutti quelli che hanno perso le loro vite”.