Ariccia (RM) , mercoledì, 4. marzo, 2020 16:00 (ACI Stampa).
Il peccato non come trasgressione alla legge di Dio, ma come “mancanza di fede”, è stato al centro della riflessione del pomeriggio del 3 marzo di padre Pietro Bovati agli esercizi spirituali di Quaresima predicati alla Curia Romana. Mentre nella mattina del 4 marzo, padre Bovati si è concentrato sulla notte come “luogo in cui Dio si manifesta”.
Nella sua riflessione della sera del 3 marzo, padre Bovati sottolinea che “anche in noi ci sono fenomeni di cecità, di idolatria, che è essenzialmente una mancanza di fede nel Signore Gesù, l’incapacità di vivere davvero affidandoci”.
La meditazione si è incentrata nell’episodio del vitello d’oro narrato dell’Esodo. Padre Bovati ha notato che il primo precetto del decalogo si riferisce al “non avere altri al posto dell’unico Dio e a non fare immagini della divinità”. Un precetto superato dai cristiani, perché viene invece ritenuto utile, “anche contro le tendenze iconoclaste”, ricorrere a immagini della divinità per accrescere la fede, mentre l’idolatria rimane “un peccato capitale denunciato in tutta la tradizione dell’Antico Testamento”.
Per padre Bovati, c’è una “cecità gravissima che affligge la coscienza”, e il peccato “non può essere guarito”, perché non è riconosciuto ed è negato, assomigliando così “al peccato contro lo Spirito, senza rimedio”.
Il teologo gesuita ammonisce che “l’ipocrisia è menzogna, perché sostituisce l’agire buono con l’apparenza della bontà”, e “non sa giudicare, non sa cosa sia il vero discernimento”, è “cieca e non conosce la giustizia, la misericordia, la fedeltà, identifica il bene con pratiche e adempimenti materiali”.