Roma , sabato, 1. febbraio, 2020 10:00 (ACI Stampa).
“Senza la dimensione della festa la speranza non troverebbe una casa dove abitare”. Così scriveva Giovanni Paolo II in Ecclesia in Europa. E la festa, soprattutto quella del Patrono, riesce a essere un momento di aggregazione per una intera comunità perché la festa fa parte dell’uomo. La sua voglia di far festa è stata ed è costantemente avvertita. E farlo nel giorno in cui tutti celebrano il patrono diventa centrale e fondamentale e rinsalda il legame tra la città civile e quella religiosa.
In questa settimana due importanti feste del patrono in due diverse diocesi del Centro e Nord Italia. A Perugia-Città della Pieve la festa di San Costanzo con l’arcivescovo, il card. Gualtiero Bassetti insieme ai vescovi dell’Umbria e alla presenza dei rappresentanti delle massime Istituzioni civili e del mondo della cultura del capoluogo regionale. “Padre della fede perugina”, lo ha definito Bassetti nella basilica intitolata al santo, al termine della processione della “luminaria” che ha visto una numerosa partecipazione di fedeli.
“Sono lieto di celebrare con le rappresentanze religiose e civile di tutta l’arcidiocesi la festa di San Costanzo, padre e fondatore di questa santa Chiesa perugina - pievese. Sono contento che, da alcuni anni, siano state ripristinate tradizioni antiche che possono rinsaldare stretti legami tra la Perugia civile e quella religiosa, uniti nella ricerca del bene comune per l’intera cittadinanza. Oggi vogliamo porci in devoto ascolto del Santo Patrono. Il messaggio del martire San Costanzo è ancora oggi una buona notizia per la nostra chiesa e la nostra città, con i loro problemi, le loro ferite e soprattutto le loro speranze”. Il santo patrono “ci addita Cristo e ci dice: guardate a Lui: Lui solo ci comprende fino in fondo perché è passato attraverso tutte le nostre prove”. Egli ci ripete con Papa Francesco: “la fede non è una luce, che dissipa tutte le nostre tenebre, ma una lampada che guida, nella notte, i nostri passi e questo basta per il cammino”. San Giovanni Paolo II ha usato una espressione “molto forte”: “una fede che non diventa cultura, è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”. Soprattutto oggi “custodire la fede significa comunicare il Vangelo in un mondo in continua trasformazione. Comunicare il Vangelo con una particolare attenzione alle nuove generazioni di adolescenti, per trasmettere ad essi l’unico mistero della croce di Cristo che può illuminare le loro inquietudini”.
“San Costanzo – ha quindi aggiunto - padre di questa nostra Chiesa e in parte di alcune Chiese dell’Umbria, fu artefice di vera pace e volontario dell’amore, perché egli per primo visse il messianismo cristiano della ‘pietra scartata’ e si fece ultimo donando la sua vita. Anche a noi è chiesto di essere operatori di pace e servi dei fratelli, servi per amore”. Ognuno di noi nella Chiesa ha “un ministero” e un compito “insostituibile. Il Santo Padre nella sua esortazione apostolica ‘Evangeli Gaudium’, afferma spesso che siamo una ‘chiesa di delega’, di sostituzione, nella quale si aspetta che uno passi al posto dell’altro, e alcuni compiano quello che tutti debbono compiere’. Inoltre il patrono, san Costanzo “ci esorta ad essere operatori di pace e servi dei fratelli dopo essersi lui stesso identificato con l’amore povero e umile di Dio e aver scelto, come Gesù, di donare la propria vita”.
Festa del patrono San Geminiano ieri a Modena-Nonantola. Occasione per l’arcivescovo, Erio Castellucci, di inviare un messaggio alla città partendo dalla domanda “Sono forse io il custode di mio fratello?” ripreso dal libro della Genesi. Una festa che ieri ha visto molti modenesi presenti al Pontificale nel duomo della città dove sono custodite le sue spoglie. Un messaggio tutto dedicato al tema della “custodia”: quella del fratello e quella del suolo. “Quando si lascia incustodito il suolo, ne soffre anche il fratello; e quando si maltratta il fratello, anche il suolo si affligge”, scrive nel messaggio sottolineando che “quando papa Benedetto XVI parla di 'ecologia umana' e papa Francesco di 'ecologia integrale', danno voce ad una tradizione biblica e cristiana di millenni”. La consapevolezza che il creato è “la nostra casa comune” – ha scritto Castellucci - “non potrà che farci bene. Quando io tratto la natura come ‘la mia cava privata’ da cui estrarre materie prime, o ‘la mia cassa personale’ da cui guadagnare profitti, cado nell’illusione – purtroppo praticata – di una ‘indifferenza’ dell’ambiente rispetto ai miei comportamenti. Essendo però il creato una vera e propria ‘casa’, le mie azioni nei suoi confronti si riflettono su di me. Se la mia casa è sporca, se tengo le finestre chiuse anziché far entrare aria pulita, se getto i rifiuti sul pavimento invece di portarli fuori, se spreco acqua, luce e gas inutilmente, se lascio crescere umidità e muffa, ne risento prima di tutto io, perché mi indebolisco e mi ammalo; e ne risentono i miei familiari, in casa con me, specialmente quelli meno difesi come i piccoli, gli anziani, i più fragili. Questo succede troppo spesso nel mondo, grande ‘casa comune’, dove lo sfruttamento e l’inquinamento fanno ammalare e indeboliscono soprattutto chi non ha le forze per difendersi”. Per l’arcivescovo modenese l’impegno per la salvaguardia del creato è “una piattaforma comune a cristiani, ebrei e membri di altre religioni, a credenti e non credenti, a tutti gli uomini di buona volontà. Il grido del suolo e il grido di Abele, sono gli orizzonti di impegno comune per un presente e un futuro sostenibile e dignitoso”.