Ho conosciuto Giovanni Paolo II nell’autunno del 1984, quando ero vescovo ausiliare di Reggio Emilia-Guastalla e vicepresidente per il Nord Italia del Comitato preparatorio del Convegno ecclesiale di Loreto. Il Papa mi invitò a cena, con mia grande sorpresa, e mi interrogò sulla preparazione di quel Convegno. Risposi con una franchezza che il Papa apprezzò. Da allora ho avuto il dono di collaborare costantemente con lui, in particolare, dal 1986, come Segretario della CEI. Probabilmente Giovanni Paolo II, all’inizio del 1991, mi ha voluto come suo vicario per Roma sulla base di quella collaborazione.
Essere vicario della Diocesi di Roma e anche presidente della CEI sembra un compito troppo grande, tanto che dopo di Lei non è stato più così. Era una scelta del Papa che Lei mantenesse entrambi i ruoli?
E’ stata naturalmente una decisione del Papa. Prima di me il Cardinale Ugo Poletti aveva anch’egli ricoperto entrambi i ruoli. D’altra parte il presidente della CEI è, per statuto, a capo di una diocesi. Essere il cardinale vicario e quindi risiedere a Roma sotto un certo aspetto facilita un lavoro – quello di Presidente della CEI – che è comunque molto impegnativo.
Come lavoravate insieme, c’era una routine, delle abitudini fisse?
Gli appuntamenti fissi erano tanti. Ad esempio, tutte le volte che il Papa visitava una parrocchia romana (ne visitava 15 all’anno) invitava a pranzo il cardinale vicario, il vescovo ausiliare di quel settore di Roma, il parroco e gli eventuali viceparroci. Qualcosa di analogo avveniva per le visite del Papa agli ospedali romani, per i suoi incontri annuali con i sacerdoti di Roma, per la Messa in San Pietro con gli studenti universitari e in varie altre circostanze. Poi vi erano naturalmente le udienze che Giovanni Paolo II mi dava personalmente e, più di frequente, gli incontri di lavoro presieduti dal Santo Padre a cui partecipavo insieme ad altri suoi collaboratori.
In tanti anni di lavoro con Giovanni Paolo II sono tanti i temi “difficili” che avete affrontato. Quali secondo Lei erano i più complicati che non sono stati risolti, e quali andrebbero di nuovo affrontati ?
Il tema di fondo che stava al centro dell’attenzione e dell’impegno di Giovanni Paolo II era la nuova evangelizzazione: un tema sempre attuale e mai risolvibile una volta per tutte. A Roma l’iniziativa più rilevante che abbiamo preso al riguardo è stata la “missione cittadina”, svoltasi negli anni precedenti il Giubileo del 2000. L’idea centrale era quella del popolo di Dio in missione. Di fatto vi hanno partecipato attivamente il clero romano, duemila religiose, circa quattordicimila laici delle parrocchie romane e delle associazioni e movimenti ecclesiali. Abbiamo visitato oltre il 70% delle famiglie romane e circa il 50% dei luoghi di lavoro. L’intenzione era rendere permanente questa missione ma purtroppo non vi siamo riusciti. Penso che qualcosa di analogo alla missione cittadina potrebbe essere proposto anche oggi.
Uno forse, che torna periodicamente alla ribalta, è il tema del celibato …..che avrebbe pensato Giovanni Paolo II delle richieste dei vescovi amazzonici ?
Paolo VI aveva ribadito e approfondito i motivi per i quali il celibato del clero andava mantenuto nella Chiesa latina. Giovanni Paolo II era totalmente in sintonia con il suo predecessore, per lui rinunciare al celibato era davvero inconcepibile.
Roma, che visione ne aveva Papa Giovanni Paolo II ? Si sentiva “romano”?
Giovanni Paolo II amava Roma e si sentiva profondamente romano. Ha dedicato molte delle sue energie, e anzitutto delle sue preghiere, a questa città e a questa diocesi. Nella lettera che accompagnava la mia nomina a vicario scrisse che mi affidava quanto aveva di più suo e di più caro. Per lui Roma era il cuore della Chiesa e doveva essere “esemplare” per tutta la Chiesa.
E l’Italia che posto aveva nel cuore di Giovanni Paolo II?
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Un posto grande, la considerava la sua “seconda patria”. Ricordiamo, all’inizio del 1994, in un momento difficile per l’Italia, la sua “grande preghiera per l’Italia” e la lettera ai vescovi italiani nella quale scriveva che: “All’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo.
Qual è il suo ricordo personale del Papa e quale quello, mi permetta di dire così, “professionale”?
Quando si tratta di Giovanni Paolo II è difficile distinguere tra questi due tipi di ricordi perché quel Papa metteva tutto se stesso nell’adempimento di ciascuno dei suoi vari compiti. In concreto, il mio ricordo per così dire “professionale” è il Papa già gravemente colpito dal parkinson che continua a visitare le parrocchie romane, suscitando la commozione dei fedeli. Il ricordo personale è quello del Papa immerso nella preghiera, anche quando intorno a lui c’era molto movimento e rumore.