Città del Vaticano , venerdì, 10. gennaio, 2020 16:00 (ACI Stampa).
Non è facile visitarlo perché è proprio nel cuore dei Giardini Vaticani, ma il Pontificio Collegio Etiopico è davvero un pezzo di Africa nel cuore della Chiesa e una piccola enclave di un rito ben diverso dal quello latino.
La sua origine storica risale all’arrivo a Roma nel XV secolo di pellegrini etiopi. Erano soprattutto monaci cui Papa Sisto IV diede in uso la chiesa di Santo Stefano con l'edificio periferico dietro l'abside della antica basilica di San Pietro:Santo Stefano degli Abissini come si chiama ancora oggi.
Da una chiesa si arrivò ad un monastero e nel 1513 fu stampato il libro dei salmi in lingua ge'ez e più tardi, il Nuovo Testamento.
Papa Benedetto XV, dopo aver istituito nel 1917 la Congregazione per le Chiese Orientali, decise di fondare a Roma anche collegi orientali. Nel 1919, su proposta del gesuita padre Beccari, il Papa fece nascere il Collegio Etiopico nel vecchio monastero di Santo Stefano degli Abissini. Fu Camillo Carrara, vicario apostolico dell'Eritrea ad inviare il primo gruppo di studenti provenienti dall'Eritrea e dalla prefettura apostolica del Tigrè.
Fu poi Pio XI che volle costruire nei Giardini una nuova e più grande casa. Il 31 maggio 1929 alla presenza di dodici cardinali e numerosi prelati ebbe luogo la posa della prima pietra. Il clero etiope era rappresentato da Abba Kidanemariam Kassa, pro-vicario apostolico dell'Eritrea che in seguito fu consacrato vescovo nella cappella del Collegio di nuova costruzione. Il 30 ottobre 1929 il pontefice concesse la cittadinanza del nuovo Stato a tutti i membri del collegio.