Roma , lunedì, 9. dicembre, 2019 10:00 (ACI Stampa).
Per gli armeni, la musica è memoria. E così, dopo il genocidio del 1915 che ha ucciso circa 1,5 milioni di armeni, era necessario ricostruire un archivio musicale che era andato perduto. Ci pensò Komitas Vardapet, che pure di quel genocidio fu vittima e che a causa di quel genocidio impazzì. Il 150esimo della sua nascita viene ricordato a Roma con un concerto in Santa Maria in Trastevere il prossimo 12 dicembre. Un concerto particolare: per la prima volta, infatti, si esibisce a Roma il coro dei diaconi di Etchmidzin, il “vaticano” della Chiesa apostolica armena.
Sono molti i significati di questo concerto. Ha, prima di tutto, un significato ecumenico, che va alle radici della cultura armena e a quel rapporto della Chiesa Cattolica con la Chiesa Apostolica Armena che si è risolto solo recentemente. E poi, ha un senso per le Chiese orientali. Per questo, ci saranno sia il Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che il Cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali. E per questo entrambi hanno dato il patrocinio all’iniziativa.
Ma c’è anche una storia che in Armenia si misura in millenni, e si cura con il libro e i 36 soldati (le lettere dell’alfabeto) che hanno salvato la fede della prima nazione cristiana. E così, il concerto serve a tornare indietro e riscoprire quelle melodie che Komitas fece appena in tempo a salvare dall’oblio.
Ma chi era Komitas Vardapet? Fu un musicista geniale, dalla produzione modesta (80 lavori corali e canzoni, arrangiamenti della Messa armena, alcune ballate per pianoforte), eppure fu colui che da solo ha messo le fondamenta della tradizione classica armena perché fu uno straordinario collezionista e arrangiatore di canzoni folk.
Dopo un concerto a Parigi, Claude Debussy, sulla base di una sola canzone, che Debussy meritava di essere riconosciuto come un grande compositore.