Città del Vaticano , venerdì, 29. novembre, 2019 11:30 (ACI Stampa).
Martire della giustizia e indirettamente della fede. Così Giovanni Paolo II nel 1993 aveva definito Rosario Livatino incontrando i genitori del giudice ucciso dalla mafia.
Papa Francesco lo ha ricordato questa mattina ricevendo in udienza i Membri del Centro Studi “Rosario Livatino”, in occasione del Convegno Nazionale sul tema “Magistratura in crisi. Percorsi per ritrovare la giustizia”.
“Quando Rosario fu ucciso non lo conosceva quasi nessuno- ha detto il Papa- Lavorava in un Tribunale di periferia: si occupava dei sequestri e delle confische dei beni di provenienza illecita acquisiti dai mafiosi. Lo faceva in modo inattaccabile, rispettando le garanzie degli accusati, con grande professionalità e con risultati concreti: per questo la mafia decise di eliminarlo”.
Ma non si tratta solo di contrasto alla malavita: “In una conferenza, riferendosi alla questione dell’eutanasia, e riprendendo le preoccupazioni che un parlamentare laico del tempo aveva per l’introduzione di un presunto diritto all’eutanasia, egli faceva questa osservazione: «Se l’opposizione del credente a questa legge si fonda sulla convinzione che la vita umana […] è dono divino che all’uomo non è lecito soffocare o interrompere, altrettanto motivata è l’opposizione del non credente che si fonda sulla convinzione che la vita sia tutelata dal diritto naturale, che nessun diritto positivo può violare o contraddire, dal momento che essa appartiene alla sfera dei beni “indisponibili”, che né i singoli né la collettività possono aggredire» (Canicattì, 30 aprile 1986, in Fede e diritto, a cura della Postulazione)”.
Non ha caso la causa diocesana di beatificazione si è felicemente conclusa nel 2018 e si precede al prossimo passo.