Città del Vaticano , lunedì, 18. novembre, 2019 14:00 (ACI Stampa).
“ Dio non ha mai detto che la sofferenza in se stessa è un bene, ma egli ci han insegnato, per mezzo di suo Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, che ha sofferto ed è morto per i nostri peccati , che le nostre sofferenze, se unite a quelle di Cristo, hanno valore per la salvezza del mondo”.
Era l’ 11 maggio del 1984, Papa Giovanni Paolo II , lo ripeteva alle migliaia di indocinesi rifugiati in Tailandia nel campo di Phanat. Un dramma della storia asiatica. Gli sconvolgimenti seguiti alle vittorie comuniste, nel 1975, nelle ex colonie francesi dell’Indocina – Viet Nam, Cambogia e Laos – causarono la fuga, nei due decenni successivi, di più di tre milioni di persone.
Tra i paesi dove si rifugiarono c’era appunto la Tailandia che ne accoglie 130 mila dove però il clima politico non era certamente facile.
Per questo in aereo nel volo di ritorno da Bangkok verso Roma un giornalista solleva la questione. E lo fa in chiave politica: “Lei ha posto il problema politico dei rifugiati, ha avuto delle risposte politiche?” Il Papa lo interrompe con veemenza: “ Umano, è umano!!! È politico, naturalmente, i politici sono obbligati a risolvere questo problema, il problema è umano!” Il giornalista incalza: “Il governo tailandese prenderà dei provvedimenti per alleggerire la sorte di questi rifugiati che abbiamo visto dietro il filo spinato?” E il Papa: “Ma Dio mio! Il governo tailandese ha lasciato a questi rifugiati un posto per vivere. Se loro trovano un posto per vivere lo trovano soprattutto in Tailandia. Ma il problema internazionale è il problema morale! Ridurre questo alla politica è un falso concetto. Noi non viviamo solamente nelle categorie politiche. Voi dovete, voi signori giornalisti, saperlo. La dimensione fondamentale della umanità dell’uomo è la dimensione morale”.
Ecco questo era Giovanni Paolo II, la dimensione dell’uomo è una dimensione morale.