Fatti “da prima pagina” per l’uomo”, ma che Dio mette “in seconda pagina”, perché in prima pagina “rimane quello che non passerà mai”, vale a dire “il Dio vivo, infinitamente più grande di ogni tempio che gli costruiamo, e l’uomo, il nostro prossimo, che vale di più di tutte le cronache del mondo”.
Sono due le tentazioni da cui di mette in guardia Gesù. La prima è “la tentazione della fretta, del subito”, di chi dice che la fine del mondo è vicina, perché “non va seguito chi diffonde allarmismi e alimenta la paura dell’altro e del futuro, perché la paura paralizza il cuore e la mente”.
Eppure, spesso – afferma Papa Francesco – ci “lasciamo sedurre dalla fretta di voler sapere tutto e subito, dal prurito della curiosità, dall’ultima notizia eclatante o scandalosa, dai racconti torbidi, dalle urla di chi grida più forte e più arrabbiato”.
È una fretta che “non viene da Dio”, perché “se ci affanniamo per il subito, dimentichiamo quel che rimane per sempre”, “inseguiamo le nuvole e perdiamo di vista il cielo”.
E così “attratti dall’ultimo clamore non troviamo più tempo per Dio e per il fratello che ci vive accanto”, cosa tanto più vera oggi, perché “nella smania di correre, di conquistare tutto e subito, dà fastidio chi rimane indietro”, e questo è giudicato “scarto”. Anziani, nascituri, persone disabili, poveri ritenuti inutili vengono messi da parte, ammonisce il Papa, perché si va di fretta, “senza preoccuparsi che le distanze aumentano, che la bramosia di pochi accresce la povertà di molti”.
L’antidoto, dice Gesù, è la perseveranza, perché “perseveranza è andare avanti ogni giorno, con gli occhi fissi su quello che non passa: il Signore e il prossimo”.
Il secondo inganno è quello della tentazione dell’io. Perché il cristiano, nota Papa Francesco, “come non ricerca il subito, ma il sempre, così non è discepolo dell’io, ma del tu. Non segue, cioè, le sirene dei suoi capricci, ma il legame dell’amore, la voce di Gesù”.
Papa Francesco ricorda che Gesù avverte che “molti verranno nel suo nome”, e spiega che “non basta l’etichetta ‘cristiano’ o ‘cattolico’ per essere di Gesù, ma bisogna parlare la stessa lingua di Gesù, quella dell’amore, la lingua del tu”.
E parla la lingua di Gesù “non chi dice io, ma chi esce dal proprio io”. Eppure, aggiunge Papa Francesco, “quante volte, anche nel fare il bene, regna l’ipocrisia dell’io: faccio del bene ma per esser ritenuto bravo; dono, ma per ricevere a mia volta; aiuto, ma per attirarmi l’amicizia di quella persona importante. Così parla la lingua dell’io”.
La carità, piuttosto, non deve essere ipocrita, e il Papa chiede di domandarsi se ciascuno di noi ha almeno un povero come amico, ricorda che i “poveri sono preziosi agli occhi di Dio perché non parlano la lingua dell’io” e “non si sostengono da soli, con le proprie forze”, ma hanno piuttosto bisogno “di chi li prenda per mano”.
Papa Francesco invita dunque a “non provare fastidio quando li sentiamo bussare alle nostre porte”, ma piuttosto ad “accogliere il loro grido di aiuto come una chiamata a uscire dal nostro io, ad accoglierli con lo stesso sguardo di amore che Dio ha per loro”.
Esclama Papa Francesco: “Che bello se i poveri occupassero nel nostro cuore il posto che hanno nel cuore di Dio! Stando con i poveri, servendo i poveri, impariamo i gusti di Gesù, comprendiamo che cosa resta e che cosa passa. Torniamo così alle domande iniziali”.
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Così, passano le cose penultime, ma resta l’amore, e “i poveri ci facilitano l’accesso al Cielo: per questo il senso della fede del Popolo di Dio li ha visti come i portinai del Cielo. Già da ora sono il nostro tesoro, il tesoro della Chiesa. Ci dischiudono infatti la ricchezza che non invecchia mai, quella che congiunge terra e Cielo e per la quale vale veramente la pena vivere: l’amore”.