Il Cardinale Nichols ha per questo chiesto alla commissione di inchiesta governativa di “pensare bene prima di raccomandare che il rapporto sugli abusi sia reso obbligatorio per i sacerdoti in ogni circostanza, perché questo potrebbe mettere gli stessi sacerdoti a rischio di false denunce che qualcuno abbia confessato. Qualcuno potrebbe farsi avanti e dire: ‘Ho detto a padre X che sono un abusatore… chiunque lo potrebbe fare e nessun prete potrebbe difendersi”.
Alla domanda se una richiesta ufficiale di rompere il segreto della confessione potesse essere ben ricevuto dai vescovi, il Cardinale Nichols ha risposto: “Non sarebbe ben ricevuto, sarebbe rifiutato”.
Il Cardinale ha detto che nessuno gli ha mai confessato di essere pedofilo in confessione, e in generale ha sottolineato che “coloro che abusano bambini sono convinti di non fare nulla di male e per questo è molto improbabile che confessino i loro atti come un peccato”.
La possibile richiesta di rompere il segreto della confessione da parte della commissione di inchiesta britannica sarebbe solo l’ultima di una serie di simili obblighi, che in alcuni casi sono già realtà.
In particolare, il Senato della California ha approvato lo scorso 24 maggio la legge 360, con 30 voti a favore e 2 contrari, che chiede ai sacerdoti di riportare ogni sospetto o conoscenza di abusi su minori ottenute anche durante il sacramento della confessione di un altro sacerdote o collega.
In Cile, c’è un progetto di legge che obbliga religiosi e sacerdoti a denunciare alla giustizia i casi di abuso sessuale su minori anche quando questi siano stati rivelati durante il segreto della confessione, discusso lo scorso aprile anche nell’assemblea generale dei vescovi cileni.
In Australia, l’inchiesta della Royal Commission aveva portato – dopo aver ascoltato oltre 8 mila testimonianze su casi di abuso – ad una raccomandazione che chiedeva di mettere da parte il segreto della confessione. La Chiesa Cattolica australiana ha già fatto sapere che non romperà il segreto della confessione”, perché si tratta di una raccomandazione – avevano notato i vescovi - “contraria alla nostra fede e nemica della libertà religiosa. Siamo impegnati nella salvaguardia dei bambini e delle persone vulnerabili, ma allo stesso tempo manteniamo il sigillo. Non vediamo come salvaguardia e sigillo della confessione si possano escludere l’uno con l’altro”.
Ma ci sono già leggi in Australia che rendono obbligatorio riportare quello che si sente in confessione: si è cominciato con o Stato di Canberra, che obbligano i sacerdoti a violare il segreto confessionale quando la confessione riguarda un abuso sessuale, mentre già si è messi in fila per approvare leggi simili lo Stato di Western Australia, e stanno studiando la materia in South Wales e Victoria, forse seguendo l’esempio del Queensland, dove c’è già l’obbligo di rompere il segreto della confessione in caso di rivelazioni su abusi su minori, così come in South Australia e nell’Australian Capital Territory.
Anche a livello internazionale non ci erano andati leggeri. nel 2014, il Comitato ONU per la Convenzione sui Diritti del Bambino – vale a dire, il Comitato che valuta come le convenzioni siglate vengono applicate dagli Stati aderenti nel loro territorio – arrivò addirittura a fare pressioni sul diritto canonico, non distinguendolo dalle leggi dello Stato di Città del Vaticano, che erano invece oggetto della Convenzione, e criticando “il codice del silenzio vaticano”, che impedisce “pena scomunica” ai membri del clero di andare a denunciare i casi di cui vengono a conoscenza alle autorità.
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.