FOCUS EUROPA
Europa, un evento sulla libertà religiosa per un “cambio di clima” sul tema
Lo scorso 15-16 ottobre, si è tenuto a Bruxelles un evento sull’ “Inventario della libertà religiosa”. Si trattava di una sorta di riepilogo del lavoro fatto dall’ufficio speciale sulla Libertà Religiosa fuori dall’Unione Europea. Istituito nel giorno in cui è stato consegnato a Papa Francesco il premio Carlo Magno, l’ufficio era stato affidato a Jan Figel, ed ha avuto particolari successi, come la liberazione di Asia Bibi. Con la nuova commissione europea, si dovrà decidere se rinnovare il mandato a Figel.
Proprio Figel ha preso la parola al termine dell’incontro. Ha sottolineato che “la libertà di religione e credo è condizione di buon governo, importante per credenti e non credenti”, e che “rappresenta la dignità umana, un principio fondamentale dei diritti umani”.
La libertà religiosa – ha aggiunto –è stata “per decenni un diritto umano messo da parte, abbandonato, male interpretato”, tanto che oggi “il 79 per cento della popolazione globale vive in nazioni con alti o molto alti ostacoli contro la libertà religiosa”.
Per Figel, ci sono quattro livelli di problemi e crisi: l’intolleranza, la discriminazione, la persecuzione e il genocidio.
Basandosi su dati del Pew Research Center del luglio 2019,. Figel ha notato che “le restrizioni dei governi sulle religioni sono cresciute nel mondo, e ci sono 52 governi che impongono alte restrizioni alla religione, come in Russia, Cina, Indonesia.
Sono cresciute anche le ostilità sociali contro la religione, così come i limiti sulle attività religiose e gli attacchi dei governi contro la libertà religiosa, in particolare in Medio Oriente e Nord Africa, dove la crescita è stata del 72 per cento.
Figel ha citato anche il rapporto del governo britannico, che ha definito la libertà religiosa quasi a livello di un genocidio.
Ha detto, però, che ci sono anche notizie di un risveglio sul tema della libertà religiosa, come le linee guida dei 28 membri UE sulla libertà religiosa adottate nel 2013, il gruppo internazionale di contatto per i diplomatici attivo dal 2015 e l’ufficio di Figel attivo dal 2016.
Figel ha quindi fatto cinque raccomandazioni: di lavorare sulla libertà religiosa in una cornice di diritti umani; di accrescere la letteratura sul tema; di supportare l’impegno con gli attori religiosi; di implementare un approccio più strategico e contestualizzato a livello nazionale; di portare avanti un coordinamento tra gli Stati membri e l’Unione sulla libertà religiosa.
Ci vuole, insomma, “un cambiamento climatico sulla libertà religiosa”.
Spagna, il PSOE punta alla revisione del concordato con la Santa Sede
Il Partito Socialista spagnolo ha promesso, nel programma delle prossime elezioni nazionali del 10 novembre, di denunciare gli accordi firmati nel 1979 tra lo Stato spagnolo e la Santa Sede e puntare ad una relazione “moderna con la Chiesa”.
Gli accordi, si legge nel testo del programma socialista “Ora progresso, ora sì”, sono una continuità del concordato de l953, e saranno denunciati “a compimento del precetto costituzionale che stabilisce la non confessionalità dello Stato e la libertà religiosa”.
Il nuovo accordo sarà invece “basato sul principio di laicità, per mantenere una relazione di cooperazione moderna con la Chiesa Cattolica”.
In particolare, il Partito Socialista promette di arrivare ad “una revisione delle operazioni che si sono basate sul privilegio di iscrivere nel registro delle proprietà beni a partire da semplici dichiarazioni dei suoi membri”.
La questione della revisione del concordato non era comunque inclusa nella “Proposta aperta per un programma comune progressista” presentata lo scorso mese di settembre dal partito guidato da Pedro Sanchez, che però includeva la questione del recupero dei beni immatricolati.
FOCUS MEDIO ORIENTE
Iraq, i capi delle Chiese cristiane appoggiano le proteste
Come già avevano fatto, i capi o rappresentanti di diverse Chiese a Baghdad hanno ribadito l’appoggio alle manifestazioni di protesta nel Paese dopo una riunione del 29 ottobre presso il Patriarcato caldeo. L’incontro è stato organizzato dal Cardinale Louis Raphael Sako, patriarca dei Caldei di Babilonia.
Nella dichiarazione, i vescovi sostengono “le genuine richieste dei manifestanti di lavoro, alloggi, servizi, assistenza sociale e sanitaria, una ferma lotta alla corruzione nonché il recupero del denaro ‘iracheno’ saccheggiato”.
I capi delle Chiese cristiane hanno chiesto al governo di “prendere decisioni coraggiosi e storiche”, lodano i manifestanti e la loro volontà di “sottolineare l’identità nazionale irachena”, e chiedono però loro di evitare di “attaccare proprietà pubbliche e private”.
Un esponente degli Emirati Arabi Uniti ha incontrato Papa Francesco
Si intensificano i contatti tra Santa Sede ed Emirati Arabi Uniti. Dopo la dichiarazione di Abu Dhabi e lo stabilimento del comitato per l’implementazione della dichiarazione, ora la firma della dichiarazione congiunta delle religioni abramitiche sul fine vita ha portato lo sceicco Abdallah bin Bayyah, capo del Consiglio della fatwa degli Emirati, in Vaticano, dove ha potuto incontrare Papa Francesco insieme agli altri firmatari lo scorso 27 ottobre.
L’incontro è stato enfatizzato dai media degli Emirati. Questi hanno sottolineato che lo sceicco bin Bayyah abbia messo in luce come l’incontro cada con gli sforzi di assicurare cooperazione in bontà e pietà, e che la preservazione del corpo è uno scopo chiave della legge islamica e dei valori tra le fedi che sottolineano l’importanza di assicurare una cura olistica e rispettosa della persona. In particolare, bin Bayyah ha sottolineato che “questi sforzi sono in linea con l’Anno della Tolleranza negli Emirati Arabi Uniti”. La dichiarazione di Abu Dhabi è uno dei frutti di questo dialogo.
FOCUS AFRICA
Papa Francesco riceve un invito a visitare Eritrea ed Etiopia
Il vescovo etiope Tsegave Keneni, vicario apostolico di Soddo, ha dichiarato in una intervista a Rome Reports che “la conferenza episcopale ha inviato un invito a Papa Francesco perché venga a visitarci. Anche il governo dovrebbe invitarlo, e il governo sarebbe felice di avere il Papa in Etiopia: l’attuale Primo Ministro ha menzionato il Papa molte volte”.
Il primo ministro Abiy Ahmed Ali, fresco vincitore del Nobel per la Pace, ha anche recentemente visitato Papa Francesco lo scorso gennaio. La pace raggiunta con l’Eritrea è ancora fragile, e in Eritrea la Chiesa è oggetto di una durissima persecuzione.In più, una visita del Papa sarebbe particolarmente complicata perché la maggioranza della popolazione è l’Etiopia, e questa non vede il Papa di buon occhio.
I vescovi del Sud Sudan chiedono ai politici di porre fine al conflitto
I vescovi del Sud Sudan hanno chiesto ai politici del Paese di porre fine al conflitto che ha causato così tanta sofferenza in una lettera pastorale pubblicata dopo la formazione del nuovo governo di unità nazionale.
“Speriamo – scrivono i vescovi – che il nuovo governo di transizione sarà formato presto, ma sottolineiamo che la formazione del governo non è un fine per se stesso. Un nuovo governo avrà legittimità solo se risolve il conflitto e fornisce pace, giustizia, sicurezza, servizi di base e buon governo per il popolo”.
I vescovi si dicono inoltre preoccupati sul fatto che non si trovi un accordo sul numero di componenti del governo e i confini dello Stato, cosa che sta già causando conflitto in alcune aree.
I vescovi hanno anche criticato i politici per il fatto di concentrarsi troppo nella suddivisione del potere – critica che hanno lanciato dalla notizia del cosiddetto revitalized agreemen e hanno chiesto a governo e opposizione di affrontare le cause alla radice del conflitto.
Ci sono, però, segni di speranza. Il 24 ottobre, un rapporto dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha evidenziato che sono tornate più di 27 mila persone in Sud Sudan da Karthoum: un dato positivo, sebbene ci siano ancora 1,8 milioni di sud-sudanesi sfollati e 2,3 milioni di sud sudanesi rifugiati in nazioni vicine.
MULTILTERALE
Santa Sede all’ONU di New York: la situazione in Medio Oriente
Il 28 ottobre, si è tenuta all’assemblea generale delle Nazioni Unite una delle periodiche riunione sul “Medio Oriente, inclusa la questione palestinese”. La Santa Sede ha messo in luce la difficile situazione nello Yemen, causata anche dal traffico di armi e munizioni che aumenta la crisi e perpetua la miseria e la sofferenza di persone innocenti.
La Santa Sede ha poi affrontato la situazione della Siria, e ha descritto la formazione di un Comitato Costituzionale nel Paese come “un segno di speranza”, e ha espresso “grave preoccupazione riguardo la Palestina”, poiché l’attuale “retorica, terrorismo, violenza e uso sproporzionato di forza da parte delle forze di sicurezza esacerbano un clima già teso”. La Santa Sede ha anche chiesto al Consiglio di Sicurezza di implementare le decisioni precedenti e presentare un meccanismo per realizzare l’obiettivo di uno Stato palestinese.
La Santa Sede all’ONU di New York: la corsa alle armi nello spazio
Tra i dibattiti alle Nazioni Unite, anche quello sulle “guerre stellari”, ovvero sulla corsa agli armamenti spaziali. La Santa Sede è intervenuta al dibattito lo scorso 29 ottobre, sottolineando la necessità che la Commissione per il Disarmo delle Nazioni Unite riprenda il lavoro bloccato dallo scorso anno, ricordando che ci sono Stati membri che hanno firmato il Trattato sullo Spazio del 1967, e che sono pertanto chiamati a portare avanti i principi della cooperazione e della mutua assistenza”.
La Santa Sede ha notato che è importante garantire la sicurezza dei mezzi di comunicazione nello spazio e condannato la distruzione di satelliti di altri Stati nello spazio
La Santa Sede all’ONU di New York: l’uso pacifico dello spazio
L’1 novembre, il dibattito si è invece spostato sull’uso pacifico dello spazio. La Santa Sede ha notato che “in un mondo che oggi affronta enormi sfide, in particolare sul tema del disarmo, è necessario essere d’accordo sulle regole di strada per l’uso dello spazio”. Questo deve essere usato “pacificamente”.
La Santa Sede all’ONU di New York: la questione del razzismo
La Santa Sede è intervenuta il 30 ottobre al Terzo Comitato della 74esima Sessione della Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che si è dedicata in particolare al tema della “Eliminazione del razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza correlata.
Basandosi sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la Santa Sede ha condannato il razzismo e la discriminazione raziale e messo in discussione la cultura generale che favoreggia l’intolleranza e il comportamento razzista. Secondo la Santa Sede, ci sono due preoccupanti fenomeni: la crescita di attitudini discriminatorie, razziste e xenofobe nei confronti di migranti e rifugiati e la crescita in atti di intolleranza e discriminazione contro le comunità e gli individui a causa della loro religione o credo. In particolare, l’arcivescovo Auza, osservatore della Santa Sede a New York in procinto di trasferirsi alla nunziatura di Spagna, si è concentrato sugli atti di violenza contro cristiani e altri. Questioni che si risolvono in spirito di solidarietà e con dialogo interreligioso e interculturale.
La Santa Sede all’ONU di New York: il rapporto sulla Legge Internazionale
Il 30 ottobre, il sesto comitato della 74esima assemblea generale delle Nazioni Unite ha parlato in particolare del “Rapporto della commissione per la legge internazionale”, e in particolare dei capitoli sui crimini contro l’umanità e della protezione dell’ambiente in relazione ai conflitti armati.
La Santa Sede ha chiesto che si facciano tutti gli sforzi necessari per “porre fine alla violenza politica, religiosa ed etnica, senza contare i crimini contro l’umanità come il traffico di esseri umani.
La Santa Sede ha parlato di una “responsabilità legale di tutti gli Stati di portare a processo i perpetratori di questi crimini e cooperare l’uno con l’altro per definire le responsabilità dei malfattori e assistere lettere”.
La Santa Sede ha apprezzato la proposta di una Convenzione Internazionale sulla prevenzione e la punizione dei crimini contro l’umanità, ha lodato l’inclusione nel rapporto del principio di non refoulement (il principio per cui non si devono forzare rifugiati a tornare in Paesi in cui sarebbero perseguitati), ha lamentato la mancata inclusione di una definizione chiara della legge internazionale per l’uso del termine gender.
Secondo la Santa Sede, due sono le questioni centrali: che le vittime possano cercare giustizia, e che si dia assistenza agli Stati con sistemi giuridici fragili, così che possano avere gli strumenti per proteggere la loro popolazione e specialmente le minoranze religiose.