Un approccio che deve fare i conti con una nazione dove da sempre si vuole la religione sotto il controllo dello Stato, perché già in età imperiale la Cina tendeva a classificare e sorvegliare le attività religiose. Poi, la Cina repubblicana della prima metà del XX secolo cercò di definire i contorni dell’attività religiosa. La persecuzione della Rivoluzione Culturale venne poi mitigata dalle riforme degli anni Ottanta, con forme di apertura pragmatica verso il vissuto religioso. È in quel periodo che si riapre, tra Santa Sede e Cina, un dialogo che sembrava ormai impossibile da portare avanti.
E che porta all’accordo del 22 settembre 2018, arrivato – spiega il Cardinale Parolin – dopo una “lunga e ponderata trattativa”, frutto di “di un graduale e reciproco avvicinamento, cui si è pervenuti attraverso un dialogo durato molti anni e segna, perciò, un passaggio rilevante all’interno della lunga storia”.
È un accordo da comprendere ”tenendo conto non solo dei problemi che chiude, ma soprattutto degli orizzonti che apre nella lunga e sofferta vicenda della Chiesa cattolica in Cina, nonché nei rapporti tra la Sede Apostolica e il ‘Regno di mezzo’.”
Come ha già fatto in passato, il Cardinale Parolin ci tiene a sottolineare che l’universalità della Chiesa cattolica “non è in contrasto, anzi, favorisce, una sana ‘sinizzazione del cristianesimo’, ovvero una declinazione del messaggio evangelico in prospettiva autenticamente cinese”.
Ma poi sottolinea che va tenuta in conto una prospettiva anche romana, tanto da formare “un ‘approccio romano’ alla Cina, il quale ha inteso riflettere anzitutto l’indipendenza e l’universalità del ministero del vescovo di Roma nella sua peculiare sollecitudine per le Chiese particolari”.
Il Cardinale Parolin guarda ai missionari del XVI e XVII secolo, che avevano “introdotto nella società cinese molte conoscenze occidentali, soprattutto di tipo scientifico”, ma ci tiene a spiegare che “portare la cultura occidentale in Oriente, infatti, non è stato l’obiettivo prioritario della missione, che è stato invece costituito dall’annuncio del Vangelo e dallo sviluppo dei legami di fraternità che ne scaturiscono, all’interno dei quali l’umanità e la cultura di ciascuno trovano piena valorizzazione”.
L’arcivescovo Claudio Maria Celli, che ha lavorato sul dossier Cina in Segreteria di Stato sin dagli anni Ottanta, ha voluto sottolineare che, con l’accordo, “si è aperta una porta che difficilmente si può chiudere”, perché per la prima volta in 70 anni “tutti i vescovi cinesi sono in comunione con il Successore di Pietro e con altri confratelli nell’episcopato.
L’accordo è frutto di un dialogo cooperativo, e di particolare importanza – ha detto l’arcivescovo Celli – sono gli Orientamenti Pastorali della Santa Sede circa la registrazione civile del Clero in Cina, perché in quel documento si nota che “non sono in contraddizione l’amore per il proprio Paese e l’esigenza altrettanto sentita di essere autenticamente cattolici”.
Il cardinale Parolin ha scritto anche la prefazione di “Cardinale Celso Costantinni, tra memoria e profezia”, a cura di monsignor Bruno Fabio Pighin.
Celso Costantini, apostolo di Cina, promosse proprio una missione che creasse legami con il territorio e portasse poi alla formazione di clero locale. “Per sottolineare – scrive il cardinale Parolin - la cattolicità della Chiesa, fu lui a invocare l’internazionalizzazione del Collegio dei cardinali e della Curia romana. Fu lui a postulare un successore di Pietro non italiano e non europeo, cosa verificatasi con l’elezione dell’attuale Pontefice nel 2013. Fu lui a insistere continuamente e a prodigarsi per dare un volto missionario al popolo di Dio, per una Chiesa ‘in uscita’.”
Già nel 1939, Celso Costantini chiese di convocare un Concilio ecumenico, tracciando un ponte per “per unire l’Oriente all’Occidente nell’ambito della stessa famiglia delle nazioni. E si potrebbe continuare”
In un contributo al volume, il Cardinale Filoni sostiene che i punti salienti del pensiero del Cardinal Costantini “sono basati sull’errata strategia missionaria degli ultimi secoli in confronto con la feconda strategia evangelizzatrice degli apostoli e della Chiesa primitiva. A suo dire, gli istituti religiosi hanno creduto di evangelizzare con un metodo ‘colonialista’ creando delle signorie di ‘tipo feudale’ con il sostegno degli stati imperialisti occidentali, imponendo una “dominazione spirituale straniera” su dei convertiti, ma senza promuovere il clero indigeno e cercare l’incontro tra la fede cristiana e la cultura dei vari popoli.
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