Firenze , venerdì, 27. settembre, 2019 18:00 (ACI Stampa).
Mura medievali, palazzi rinascimentali, ponti e vicoli... E tante chiese, ricche di tesori artistici incomparabili, sui cui sagrati si svolgeva una vita "pittoresca" e innocente, mentre si diffonde l'aria lieve e sfumata e si svelano i paesaggi idilliaci della campagna e dei colli circostanti. Ecco cos' era la Firenze ottocentesca, quella che amavano alla follia torme di stranieri imbambolati in arrivo da tutte Europa e poi da Oltreoceano. Le stesse, centuplicate, che invadono e soffocano oggi la città, turisti mordi e fuggi, che in fondo credono si ritrovare le stesse cose.
Bisogna però ammettere: che cosa ci voleva di più per far innamorare di se' intere schiere di stranieri adoranti e provenienti da mezzo mondo? Eppure, qualcosa ci voleva. Dovevano esserci anche dei pittori che immortalassero le immagini di una città da sogno, che la "rienventassero", che creassero un "marchio" di sicuro effetto: quello di Firenze, appunto.
La famiglia Signorini, il padre Giovanni e il figlio Telemaco, pittori, animatori culturali, frequentatori del bel mondo fiorentino, dei circoli esclusivi di stranieri residenti in città, fecero della loro indubbia capacità artistica un veicolo importante per trasmettere al mondo l'idea di Firenze città ideale, la "piccola Atene" sulle sponde dell'Arno. Non a caso Giovanni fu poi definito "il Canaletto fiorentino". Telemaco è diventato uno degli artisti pittori più importanti e conosciuti sul finire del diciannovesimo secolo, assimilando e reinterpretando le esperienze dei macchiaioli, facendosi coinvolgere, in qualche modo, anche dall'impresa incredibile degli impressionisti di scardinare le regole della pittura tradizionale.
Quella Firenze di luci e nuvole, di silenzi e di gente affacendata per le strade, di giardini chiusi e di palazzi nobili, rivive per qualche momento grazie ad una raffinata mostra che ha appena aperto i battenti e sarà visitabile fino al 10 novembre, dal titolo "La Firenze di Giovanni e Telemaco Signorini". La sede in cui è ospitata è anch'essa un luogo mitico da visitare: il piano Nobile del rinascimentale Palazzo Antinori, proprietà dei famosi marchesi produttori di vino. Per la prima volta, in occasione della rassegna, curata da Elisabetta Matteucci e Silvio Balloni, con il contributo, oltre che della famiglia Antinori, dell'Istituto Matteucci, e con il sostegno di Intesa Sanpaolo e dell'azienda Same, si possono ammirare affiancate le opere di questa dinastia di pittori, che ha vissuto, respirato e tradotto in opere d'arte la stagione particolarmente felice nell'Ottocento, la stagione di Giovan Pietro Viesseux, Diego Martelli, Niccolò Tommaseo. Esperienza che si ripete sfogliando il bellissimo catalogo dell'esposizione, redatto dagli stessi curatori della mostra.
Un viaggio felice in un tempo sospeso, fatto di immagini che hanno nutrito le intuizioni poetiche di scrittori e artisti. Qualche lembo di questa visione è tutt'ora visibile e sanno ancora provocprovocare grandi emozioni. "La facciata della Basilica di San Miniato al Monte, quando nel sereno vien la sera, si alleggerisce, all'apparenza, del peso che la tiene a terra: allora, in fedeltà di secoli, rinnova la supplica al Cielo, con la scrittura della sua bellezza, per riavere dell'eterno un posto, che di quello in cui si trova ora altro non ne sia ch'ella trasfigurazione". La magnifica descrizione di San Miniato appartiene allo scrittore Nicola Lisi, appartato quanto importante, che definisce la "vocazione" della millenaria basilica di far trasparire, qui sulla terra, una intuizione della Gerusalemme celeste. E che rivive quotidianamente, attraverso la presenza dei monaci che qui pregano, accolgono, vivomo la, loro vocazione.