Roma , venerdì, 30. agosto, 2019 16:00 (ACI Stampa).
Nonostante le pioggia e il tempo ostile, anche quest'anno migliaia di persone sono accorse all'Aquila, per partecipare alle celebrazioni della Perdonanza celestiniana. Una tradizione antichissima, tanto che quella di quest'anno è stata l'edizione numero 725, culminata con l'apertura della Porta Santa della basilica di Collemaggio, e la conseguente possibilità di acquisire l'indulgenza plenaria.
La manifestazione, con le veglie di preghiera, con le celebrazioni eucaristiche, i cortei storici, i concerti, si arricchisce di ulteriori significati, perché dieci anni fa la città e vasti territori d'Abruzzo e dell'Italia centrale sono stati devastati dal terremoto. Le ferite sono ancora visibili negli edifici lesionati, nelle macerie ancora accantonate, mentre la ricostruzione va a rilento. E poi ci sono le ferite del cuore, i tanti volti cari che non ci sono più. Ma la Perdonanza è un momento irrinunciabile, con una grande forza di attrazione, di coesione, di forza e di fede.
Tutto è cominciato nel 1294, anno in cui papa Celestino V concesse, la sera della sua incoronazione nella basilica aquilana, l'indulgenza plenaria a chiunque, confessato e comunicato, fosse entrato nella basilica dai vespri del 28 agosto a quelli del 29. L'evento è dunque precursore del Giubileo istituito da papa Bonifacio VIII nel 1300. Nel 2011 la ricorrenza è stata riconosciuta Patrimonio d'Italia per la tradizione ed è stata avanzata la richiesta per il suo inserimento nella lista dei Patrimoni orali e immateriali dell'umanità patrocinata dall'Unesco.
La figura di Papa Celestino torna in primo piano, anche se, bisogna sottolinearlo, in Abruzzo questa figura non è mai stata dimenticata, come le sua resenza continuasse ad aleggiare, eterea ma dai contorni netti, in molte parti della regione. E non solo, per la verità. Perché se si ha l'idea felice di fare un giro nel castello di Fumone, in provincia di Frosinone, si potrà fare un'esperienza particolare. Qui infatti fra Pietro Angelerio, detto Pietro da Morrone, che divenne appunto Papa Celestino, consumo' in prigionia gli ultimi suoi giorni terreni. E vedere dove è stato tenuto prigioniero, la sua misera cella, la cappella dove celebrava messa, commuove profondamente. Il castello stesso, poi, è un luogo ricco di misteri e di atmosfere uniche.
Un destino davvero straordinario, quello di Pietro. Nato tra il 1209 e il 1215, figlio di contadini, precoce nella sua vocazione monastica, nel 1241 vive da eremita spostandosi, di grotta in grotta, tra le montagne del suo amato Abruzzo, interrompendo l'eremitaggio giusto il tempo per fondare una Congregazione di frati, del ramo dei benedettini, che poi saranno chiamati celestini. E già gode della fama di santità, rispettato e venerato dal popolo, ma anche da gran parte delle gerarchie ecclesiastiche, compresi i pontefici. Nel 1294 accade una cosa incredibile: dopo un logorante conclave durato oltre due anni, viene eletto papa proprio lui, il sant'uomo eremita Pietro. Lui, uomo già anziano, ascetico, del tutto estraneo alle logiche curiali e ai giochi di potere che c'erano dietro l'elezione travagliata al soglio pontificio. Compare alla, presenza dei cardinali ancora vestito del suo saio rozzo. Dopo pochi mesi, quattro per la precisione, Celestino V rinuncia al suo mandato; subito dopo viene eletto Bonifacio VIII. E qui comincia il travaglio di Celestino, che viene messo sotto sotto scorta, per "protezione", tenta la fuga verso Oriente, viene catturato e rinchiuso nella rocca di Fumone dove muore, il 19 maggio 1296.