Spesso Papa Francesco parla dell’ecumenismo pratico. Questo essere “maestra di liberazione” è un modo, per la Chiesa cattolica, di essere mezzo di unità con le altre confessioni?
Certamente. Ho parlato di una guerra coloniale contro l’Ucraina mossa da un aggressore che vuole che l’Ucraina rimanga la periferia di un grande impero. Io sono convinto che i grandi passi ecumenici vissuti in Occidente nella seconda metà del XX secolo sono dovuti al processo di decolonizzazione, perché quando la vita spirituale è stata liberata da interessi mondani e geopolitici, le Chiese hanno riacquistato la loro capacità di dialogare. Finito il principio “Cuius regio, eius religio”, Chiesa cattoliche e protestanti sono state libere di parlare di cose religiose. Il problema dell’ecumenismo in Ucraina, e in tutto il territorio dell’ex Unione Sovietica, è che non è ancora avvenuta la decolonizzazione. Le Chiese erano spesso schiave, strumentalizzate dal potere politico ateo per gli scopi che non erano interesse diretto della Chiesa. Perciò oggi in Ucraina risentiamo la mancanza della decolonizzazione quando parliamo dello sforzo ecumenico. Succede, così che le Chiese sono troppo prese dai pregiudizi dell’una contro l’altra. Soprattutto le Chiese ortodosse si vedono come agenti di un potere straniero. Questo toglie la libertà di essere aperti e parlare con franchezza. La gente comprende che ci sono differenze dogmatiche, teologiche e spirituali tra Cattolici, ortodossi e protestanti, ma non capisce perché gli stessi ortodossi si dividano tra loro.
Divisioni che sembrano accentuate dalla decisione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli di garantire l’autocefalia per la Chiesa Ortodossa Ucraina, decisione che ha creato tensioni con il Patriarcato di Mosca, ma anche all’interno della comunione ortodossa…
La divisione nell’ortodossia è un grande problema per l’Ucraina. Garantendo l’autocefalia, il Patriarcato ecumenico ha provato a sanare queste divisioni, ma vediamo che la strada è ancora lunga da percorrere.
Quale la posizione della Chiesa Greco Cattolica Ucraina?
Sono trenta anni che siamo liberi, e abbiamo vissuto una trasformazione ecumenica. Quando cadde il Muro di Berlino e si dissolse la Cortina di ferro, la Chiesa Greco Cattolica Ucraina uscì dalle catacombe e poté vivere lo spirito del Concilio Vaticano II, e in particolare il suo spirito ecumenico. Ma la situazione ecumenica in Ucraina era molto aspra negli Anni Novanta. Venivamo visti come nemici, in particolare perché c’era una discussione tra le Chiese, dato che noi volevamo tornare nelle chiese che il regime di Stalin ci aveva tolto. Talvolta eravamo considerati nemici. Dopo trenta anni, siamo visti come fratelli. Durante l’incontro, ho presentato una indagine sociologica del Centro Razumkov che dimostra come l’apertura ecumenica dei greco cattolici è più alta di quella delle altre Chiese e comunità cristiane in Ucraina.
In che modo portate avanti l’impegno ecumenico?
Vogliamo curare i contatti e curare i rapporti con tutte le Chiese presenti in Ucraina, e in particolare con le Chiese ortodosse, che rappresentano il 71 per cento della popolazione cristiana. Cerchiamo ogni possibilità di collaborare, specialmente quando si tratta di aiutare la popolazione nel mezzo della guerra. Una bomba non fa distinzioni tra cattolici o ortodossi, tra persone che parlano ucraino, russo, polacco... uccide tutti. E così, cerchiamo di ritrovare unità nell’affrontare queste sfide dolorose.
Il Cardinale Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha relazionato sulle sfide ecumeniche. Che missione vi ha affidato?
Nella sua relazione, il Cardinale Koch si è concentrato ad analizzare il documento del nostro Sinodo “Missio Oecumenica”, per il quale ci ha ringraziato. Il documento parla dei principi dell’azione ecumenica della nostra Chiesa. Nel documento, abbiamo parlato di ecclesiologia inclusiva, una visione di Chiesa che non esclude nessuno, e che vede nel fratello, anche nel fratello separato, appunto un fratello, da amare e rispettare. Abbiamo parlato di un modello possibile di unità che può emergere dalla situazione in cui viviamo oggi e degli orizzonti che ci possono portare al dialogo e alla purificazione della memoria per sanare le ferite che abbiamo oggi e non essere ostaggi del passato. Il Cardinale Koch ha detto che un documento di questo è segno della maturità ecumenica della Chiesa ed è una testimonianza che non possiamo essere considerati un ostacolo, ma piuttosto come un catalizzatore dell'ecumenismo. In fondo, l’identità ecumenica fa parte dell’identità di una Chiesa orientale cattolica: abbiamo la stessa teologia, le stesse radici nella prassi canonica dei nostri fratelli ortodossi. Dobbiamo solo capire come metterlo a disposizione,
Avete qualche idea di come fare?
Per molte ragioni, la Chiesa Greco Cattolica Ucraina non ha un dialogo ufficiale con le Chiese ortodosse. Ma, quando questo canale si creerà, magari con degli incontri bilaterali con ogni Chiesa ortodossa ucraina, cominceremo con il pensare di applicare nel contesto pastorale locale i frutti del dialogo ecumenico che si svolge a livello universale, a partire dal lavoro della Commissione Teologica Internazionale Mista Cattolica ed Ortodossa. Il primo tema sarà quello di riconoscere la validità dei sacramenti, e dunque smettere di ribattezzare i fedeli di altre confessioni. Fare a livello locale quello cui si lavora a livello universale può essere un primo passo.
Vero è che a livello universale, la stessa Commissione è un po’ “zoppa”: la Chiesa ortodossa bulgara non ha mai partecipato agli incontri, il Patriarcato di Mosca ha ritirato la partecipazione per via della questione ucraina…
Purtroppo, il mondo ortodosso è molto frammentato, gli stessi fedeli ortodossi se ne meravigliano, lo ho detto. Ma noi non guardiamo a questo. Noi vogliamo essere catalizzatori di dialogo ed unità. È una missione specifica della nostra Chiesa.
Missione che la vostra Chiesa ha portato avanti anche con un catechismo specifico, “Cristo Nostra Pasqua”, anche questa discussa all’incontro intedicasteriale. Quale è lo scopo di questo catechismo?
La questione della trasmissione della fede e dell’evangelizzazione oggi è stato un altro tema dell’incontro. È al centro della missione pastorale della Chiesa. Papa Francesco era molto interessato. Il nostro catechismo è un gioiello della nostra Chiesa, e io sono orgoglioso di essere stato parte del comitato di redazione quando ero professore dell’Università Cattolica e poi di averlo potuto promulgare da Capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina.
Quale è la peculiarità di questo catechismo?
Nel passato noi, ma anche altre Chiese orientali, facevamo tradurre nelle nostre lingue i catechismi della Chiesa latina. Questo adattamento di un catechismo latino da parte di una Chiesa orientale cattolica era collegato con una latinizzazione dottrinale, che spesso includeva anche la visione della pietà spirituale. Ma il “Cristo Nostra Pasqua” non è la traduzione di un catechismo latino, ma è il frutto del lavoro della nostra Chiesa. Noi, per esempio, confessiamo il primato ministero petrino in modo orientale.
Cosa si intende?
Durante l’incontro, il Cardinale Luis Ladaria, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, ha tenuto una relazione sulla cattolicità della Chiesa. Noi abbiamo spiegato che abbiamo una visione bizantina della cattolicità della Chiesa come comunione di Chiese locali, garantita e promossa dal Successore di Pietro come baluardo visibile e servitore supremo della comunione universale della Chiesa di Cristo. Questo ha creato una discussione su cosa si intenda per “Chiesa locale”, perché molti definiscono come Chiesa locale la Chiesa Greco Cattolica Ucraina. Abbiamo fatto notare che erano presenti metropoliti dall’Ucraina, dal Canada, dagli Stati Uniti, dal Brasile, dall’Argentina, e questo dimostra che non siamo una realtà locale, ma una realtà globale. Viviamo la comunione fra di noi, la comunione globale della Chiesa, la comunione con il successore di Pietro. La nostra confessione del primato petrino mostra che questa unione non nuoce alla nostra tradizione, alla comunione interna, ma piuttosto la favorisce. Forse questa nostra tradizione di vivere la comunione della Chiesa potrebbe essere un contributo per sviluppare il concetto di sinodalità e di sana decentralizzazione di cui Papa Francesco parla spesso.
Il catechismo ha aiutato alla vostra unità?
Questo catechismo è stato uno strumento fondamentale della unità per la nostra Chiesa. Il nostro prossimo Sinodo sarà a Roma dall’1 al 10 settembre, in occasione del 50esimo della consacrazione della Basilica di Santa Sofia, e il tema sarà l’unità globale della Chiesa Greco Cattolica Ucraina. Abbiamo fatto una indagine tra i fedeli in tutto il mondo, e abbiamo chiesto: che cosa vi identifica con la Chiesa greco-cattolica ucraina? Tutti hanno risposto: la spiritualità orientale e la tradizione della Chiesa di Kiev. Sono rimasto meravigliato di leggere queste espressioni scritte da rappresentanti di parrocchia cinese di Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ma anche dai fedeli di una località vicino Vancouver, in Canada. Abbiamo cinesi membri della Chiesa Greco Cattolica Ucraina che si identificano con la nostra tradizione spirituale teologica. Non sono più la nazione e la lingua a fare da fondamento della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ma l’esperienza dell’incarnazione della parola di Dio nella carne e nella storia della comunità della nostra Chiesa. Per questo, il catechismo “Cristo nostra Pasqua” è stato tradotto in molte lingue: in russo, in inglese, in portoghese, in spagnolo, è in via di finalizzazione la traduzione in polacco e tedesco, s sta lavorando alla traduzione in italiano. È un catechismo che esprime l’identità della Chiesa nata dal suo seno, ed è strumento vitale per l’evangelizzazione. Ora stiamo preparando anche un catechismo per i giovani, uno YouCat greco-cattolico.
Quale è il vostro obiettivo con questo catechismo?
Mostriamo che essere orientali non vuole dire vestire con abiti strani o praticare riti particolari. È un modo particolare di essere cristiano che si esprime nella teologia, nella comprensione del mistero di Dio, nel modo di incarnare questa fede nella vita quotidiana, nel modo di costruire la comunità ecclesiale. Abbiamo cercato di presentare al Santo Padre questo modo di essere Chiesa come un contributo che noi possiamo portare non solo nell’azione pastorale ed evangelizzatrice, anche uscendo fuori. La nostra missione oggi non è prendere ma condividere. Abbiamo tanto da condividere. Da questa condivisione. nascono le parrocchie cinesi, spagnoli, portoghesi.
Ci sono 23 Chiese sui iuris, alcune in zone di guerra come il Patriarcato caldeo, che vive una situazione simile alla vostra in Iraq. Perché il Papa ha voluto vedere proprio voi?
Non saprei dirlo. Credo per il fatto che noi siamo la più grande Chiesa orientale cattolica, e il Papa ha visto che sulla nostra Chiesa sono caduti tanti pregiudizi, anche causati dalla propaganda. Il Papa ha voluto far sparire questi pregiudizi, avere uno spazio di riflessione comune ed entrare nella storia dell’identità della nostra Chiesa. Nel comunicato finale dell’incontro si parla di una nuova metodologia, creata proprio dalla volontà del Papa di appoggiare una di queste Chiese nella sua missione. Il primo frutto è aver capito che le Chiese cattoliche orientali non sono esaurite, ma sono da valorizzare. Vale per tutte le Chiese orientali. E forse domani il Papa convocherà incontri simili anche per le altre Chiese orientali, per far fiorire queste Chiese.
La Chiesa Greco Cattolica Ucraina ha tre sogni: un viaggio del Papa in Ucraina, l’elevazione a Patriarcato (attualmente è un arcivescovado maggiore) e la beatificazione di uno dei suoi Padri, il Metropolita Andriy Sheptytsky. Sono sogni più vicini oggi?
Sono più vicini di quanto lo fossero tre giorni fa. Abbiamo prima di tutto chiesto pubblicamente al Papa di venire in Ucraina. Gli abbiamo detto: “Oggi la incontriamo e lei ci ascolta, ma tanti non possono stare qui e vogliono ascoltare e vedere. La aspettiamo in Ucraina per toccare le ferite della guerra e farle finire”. Con iniziative come “Il Papa per l’Ucraina”, Papa Francesco ha voluto alleviare le nostre sofferenze. Ma abbiamo l’impressione di lavorare solo per rimediare agli effetti della guerra. Bisogna agire sulle cause e quando il Papa verrà in Ucraina sarà una opera per far finire la guerra. Abbiamo anche ribadito l’invito informalmente, quando lo abbiamo incontrato a Santa Marta, dove noi eravamo a cena. Lui mi ha detto: “Ci penserò”.
Per quanto riguarda il Patriarcato…
Anche questo è stato un tema toccato quando abbiamo discusso la dimensione ecumenica della vita della nostra Chiesa. Il Patriarcato è un modo di essere, non una onorificenza. È un modo di costruire i meccanismi per far fiorire la nostra Chiesa, perché questo accresce la nostra efficienza e il nostro lavoro pastorale. La nostra Chiesa, il suo sviluppo e la sua fioritura, non sono un pericolo per i nostri fratelli ortodossi. Non siamo "contro qualcuno", ma "per Qualcuno". È una rivoluzione mentale, ancora da completare. Servono nuove strutture, però. Secondo le statistiche del ministero degli Affari Esteri, ogni anno un milione di ucraini lasciano il Paese, e dobbiamo assicurare accompagnamento pastorale a questi migranti. Questo ha un peso anche per altre Chiese orientali che vivono la nostra situazione, come il Patriarcato Caldeo, che vive un massiccio esodo di cristiani dall’Iraq. Tutto porta alla necessità di un Patriarcato, anche perché la nostra Chiesa è, sì, radicata in Ucraina, ma è una Chiesa globale, che esce dai confin di una località geografica.
Infine, la figura di Sheptytsky,
Il metropolita Sheptytsky è stato il primo a capire la globalità della nostra Chiesa. Quando lui era metropolita, la nostra Chiesa aveva solo tre eparchie in Ucraina occidentale, sotto il dominio dell’Impero Austro-Ungarico. Noi oggi abbiamo 34 eparchie, in tutto il mondo, ed è anche merito del metropolita Sheptytsky, il primo a fare viaggi pastorali per visitare i fedeli in ogni parte del globo e fare tutto il necessario perché avessero sacerdoti e vescovi. Lui ha esposto per primo le necessità pastorali per creare strutture per gli immigrati. Stiamo vivendo i frutti di quello che il metropolita Sheptytsky ha avviato.
Si tratta, insomma, solo di cominciare a raccogliere frutti…
Questi due giorni non erano pensati per mettere sul tavolo decisioni già prese, magari decise a tavolino in qualche dicastero. Erano i giorni dello studio, dell’analisi, della riflessione per i prossimi passi da fare. Noi aspettiamo che in prossimo futuro ci saranno i frutti di questa riflessione, decisioni concrete e creazioni di certi meccanismi e strutture che possano far fiorire la nostra Chiesa in Ucraina e nel mondo per venire incontro alle sfide umanitarie ed ecologiche che viviamo in Ucraina.