1989. Giovanni Paolo II vola a Seoul, e all’inizio dell’incontro con i giornalisti un altro saluto:
“Voglio salutare tutti i giornalisti presenti, esprimendo loro già in anticipo prima la gratitudine per i loro impegni, e poi anche una certa compassione perché devono sopportare molto viaggiando, specialmente questa prima tappa dove si va dall’ovest ad est. allora si perdono le ore. Allora adesso abbiamo cambiato il sistema dell’incontro, e io sono pronto di acconsentire a questo nuovo sistema e di seguire le domande.”
Giovanni Paolo II si sottopone volentieri all’interrogatorio, per così dire, dei giornalisti. Ed è anche contento che i giornalisti lo seguano, nonostante i moltissimi viaggi.
25 gennaio del 1990. Il papa ancora una volta vola verso l’Africa, verso Capo Verde:
“Voglio salutare tutti i giornalisti che hanno voluto anche questa volta andare con il Papa . Si poteva pensare che hanno già abbastanza di questi viaggi, ma ci sono ancora i volontari.”
Giovanni Paolo II non attende però solo i voli intercontinentali per parlare con i giornalisti. 1994, gennaio, il 24, giorno della festa di S. Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, Giovanni Paolo II è nella sala stampa vaticana. Il direttore e portavoce Joaquín Navarro Valls, presenta l’ incontro, “che ha luogo sulla terra ferma, anziché volando a 10.000 metri mentre si va e si ritorna da uno dei viaggi apostolici.” La risposta di Karol Wotjyla ai presenti “accreditati” presso la Sala Stampa della Santa Sede:
“Vorrei fermarmi sulla parola accreditati. Finora pensavo che sono solamente ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, ma io vedo c’è anche un’altra accreditazione, un altro mondo di accreditazioni probabilmente presentate al dott. Navarro Valls.”
Spesso Giovanni Paolo II è addirittura ufficio stampa di se stesso. Racconta episodi come nel 1995 in Aula Paolo VI, quando riassume la storia delle Giornate Mondiali della Gioventù. E chiude con una battuta sui mass media:
“E appunto, e così con questi viaggi, con queste visite attraverso il mondo, ho capito che se si vuole essere un papa direi moderno, aggiornato (risate e applausi) non si può non viaggiare, vuol dire non camminare, non camminare. Il modo contemporaneo del camminare è viaggiare, con l’aereo – malheureusement! Peccato, ma è così. Allora, si è cominciato a camminare insieme ai giovani. Loro sono grandi camminatori. Anche io ero camminatore essendo giovane, adesso meno. Ma non del tutto ho rinunciato, perché qualche volta sotto la guida del mio Don Stanislao andiamo a fare qualche passeggiata, qualche escursione nelle montagne come due giorni fa, e poi lo scrivono nella stampa (applausi)”.
Con il passare degli anni e l’avanzare della malattia Karol Wojtyla ha trasformato il vigore della parola pronunciata nella intensità del silenzio quasi imposto a chi è con lui per il raccoglimento.
A ottobre del 2003 le celebrazioni dei 25 anni di pontificato vivono della profezia dei gesti quando parlare è difficile ma la voglia di comunicare di Giovanni Paolo II supera le difficoltà.
Così a Berna con i giovani, a Lourdes davanti alla grotta di Massabielle e a Loreto sotto il sole di Montorso; il Papa anziano e malato sembra voler lasciar spazio agli altri, alle migliaia di pellegrini che vengono da ogni parte del mondo.
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I vaticanisti rispettano il patto. E scrivono anche dei suoi silenzi come parte del suo magistero “improvvisato”.