E sì che la legge era stata emendata, perché una prima bozza della legge richiedeva la violazione del sigillo della confessione ogni volta che un sacerdote sospettasse abusi d parte di qualunque penitenti.
Ma, d’altro canto, il senatore Jerry Hill, che ha promosso la legge, ha sottolineato che “il privilegio del penitente è stato abusato su larga scala, cosa che ha creato un non riportato e sistematico caso di abuso di migliaia di bambini di molte confessioni religiosi diverse”.
Il vescovo Michael Barber, della diocesi di Oakland, ha però richiamato alla resistenza civile, sottolineando che preferirebbe l’arresto alla prigione al dover sottostare ad una legge che forza i sacerdoti a violare il segreto della confessione.
Una resistenza civile che i sacerdoti si avviano a mettere in atto in Cile, dove c’è un progetto di legge che obbliga religiosi e sacerdoti a denunciare alla giustizia i casi di abuso sessuale su minori anche quando questi siano stati rivelati durante il segreto della confessione.
Il vescovo Celestino Aos Braco, amministratore apostolico di Santiago di Cile, ha preso una dura posizione sul tema al termine dell’assemblea generale dei vescovi del Cile lo scorso 29 aprile. “Siamo – ha detto il vescovo Aos – semplicemente di fronte il luogo più sacro dell’essere umano, che è la cosicenza. E quando un potere desidera ferire la coscienza di una persona siamo di fronte al peggiore degli abusi che si possa commettere”.
La legge aspetta la sua approvazione al Senato del Cile, dopo essere passata alla Camera dei Deputati.
Anche in Costa Rica, Paese a maggioranza cattolica, si sta discutendo un progetto di legge che permetterebbe di sollevare il segreto delle confessioni sacerdotali in caso di indagini sull’abuso sessuale su minori.
La legge è stata promossa da Enrique Sanchez, deputato, che ha giustificato la proposta dicendo che l’attuale legislazione “permette di sollevare il segreto professionale di un avvocato, di uno psicologo e di un medico” e che dunque per analogia si poteva applicare la stessa cosa alla confessione, considerato alla stregua di un segreto professionale.
Quello che nei Paesi latino-americani è in discussione, in Australia è già realtà. La Chiesa Cattolica australiana ha già fatto sapere che non romperà il segreto della confessione, accettando le raccomandazioni della Royal Commission, una inchiesta governativa di cinque anni che ha ascoltato8 mila testimonianze su fatti che sarebbero accaduti tra il 1950 e il 2010 – inchiesta che ha portato a 230 processi, l’accusa di molestie al 7 per cento dei sacerdoti australiani e possibili risarcimenti da trasferire a 60 mila persone. La commissione aveva stilato una serie di raccomandazioni per la lotta agli abusi, che la Conferenza Episcopale Australiana ha analizzato passo dopo passo in un documento di 57 pagine, pubblicato il 31 agosto. Quasi tutte le raccomandazioni erano state accettate. Tranne la richiesta di rompere il sigillo sacramentale.”Una raccomandazione – avevano notato i vescovi - “contraria alla nostra fede e nemica della libertà religiosa. Siamo impegnati nella salvaguardia dei bambini e delle persone vulnerabili, ma allo stesso tempo manteniamo il sigillo. Non vediamo come salvaguardia e sigillo della confessione si possano escludere l’uno con l’altro”.
I vescovi contestavano anche le leggi già approvate in due Stati, South Australia e nell’Australian Capital Territory. Si è cominciato con o Stato di Canberra, che obbligano i sacerdoti a violare il segreto confessionale quando la confessione riguarda un abuso sessuale, mentre già si è messi in fila per approvare leggi simili lo Stato di Western Australia, e stanno studiando la materia in South Wales e Victoria, forse seguendo l’esempio del Queensland, dove c’è già l’obbligo di rompere il segreto della confessione in caso di rivelazioni su abusi su minori.
La Chiesa in Australia potrebbe ora ricevere multe e sanzioni di 10 mila dollari australiani per essersi rifiutata di riportare alle autorità.
La tendenza internazionale di attaccare il segreto della confessione ha colpito anche l’India, dove ad agosto 2018 la Commissione Nazionale delle Donne ha chiesto al governo di abolire il sacramento perché “è una interferenza indebita in una questione sacra e vitale della vita cristiana”. La richiesta era arrivata a seguito dello scandalo che ha visto coinvolti 4 sacerdoti della Chiesa ortodossa siro-malankarese, i quali avevano utilizzato confidenze che una donna sposata aveva fatto loro in confessione per ricattarla e abusare sessualmente di lei.
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.
Nell'ambito di questo servizio gratuito, potrete ricevere occasionalmente delle nostre offerte da parte di EWTN News ed EWTN. Non commercializzeremo ne affitteremo le vostre informazioni a terzi e potrete disiscrivervi in qualsiasi momento.
Si tratta di una tendenza internazionale che ha radici lontane. Nel 2011, al culmine della crisi degli abusi tra il clero irlandese, Enda Kenny, allora “Taoiseach” (Primo Ministro) sostenne che “i sacerdoti dovrebbero avere un obbligo di legge di riportare i casi di abuso appresi in confessione”.
A livello internazionale, si era andati anche oltre: nel 2014, il Comitato ONU per la Convenzione sui Diritti del Bambino – vale a dire, il Comitato che valuta come le convenzioni siglate vengono applicate dagli Stati aderenti nel loro territorio – arrivò addirittura a fare pressioni sul diritto canonico, non distinguendolo dalle leggi dello Stato di Città del Vaticano, che erano invece oggetto della Convenzione, e criticando “il codice del silenzio vaticano”, che impedisce “pena scomunica” ai membri del clero di andare a denunciare i casi di cui vengono a conoscenza alle autorità.
Ora, la presa di posizione della penitenzieria apostolica, tutta basata sul diritto canonico. Ma la violazione del segreto della confessione è anche un tema di libertà religiosa. Si tratta, insomma, di una questione più ampia, che riguarda la libertà stessa della Chiesa.