Si è parlato di molti temi: il contesto australiano, il problema degli abusi, i cattolici aborigeni, la formazione dei seminaristi, l’evangelizzazione, il modo di fare le omelie.
Quanto si sente in Australia il problema della secolarizzazione?
L’Australia è vasta e ogni località vive reazioni diverse. Ci sono significative differenze tra le aree metropolitane e quelle più ‘rurali’. Per quanto riguarda Melbourne, posso dire che c’è una predisposizione secolare molto forte. È diventato difficile diffondere il messaggio cristiano nella società. Non basta più alzarsi in piedi e dire pubblicamente il messaggio cristiano: le persone ci chiederebbero di non parlare, anche a causa di una serie di problemi, come lo scandalo degli abusi, che hanno minato la nostra credibilità. Per questo, oggi è importante parlare alle persone lì dove sono, sviluppare contatti diretti a livelli locali e personali. Solo così il messaggio del Vangelo sarà ricevuto.
Lei ha menzionato la crisi degli abusi. Quanto colpisce la Chiesa in Austrlia?
Anche in questo caso, ci sono differenti livelli, perché il tema non è nato con i casi del Cardinale Pell o il rapporto della Royal Commission: sono decenni che vengono fuori realtà terribili, e siamo da tempo in questo percorso. C’è shock da parte delle persone, ci si chiede come questi abusi possano essere stati fatti da uomini di Dio. Si tratta di una domanda che riceviamo spesso: perché è successo? Gli ultimi accadimenti, come la sentenza del Cardinale Pell, non hanno fatto altro che creare un crollo psicologico. Sacerdoti, religiosi si sono trovati così ad affrontare un senso di “indisponenza” da parte delle persone.
Dalle richieste della Royal Commission alle leggi in alcuni Stati, in Australia si sta anche mettendo sotto attacco il segreto della confessione. Come reagite?
Il tema del sigillo della confessione è venuto fuori perché, dall’investigazione della Royal Commission, è emerso che in alcuni casi i perpetratori di abusi avevano confessato i loro crimini. Per questo, la commissione ha raccomandato che il sigillo della confessione non fosse essente dall’obbligatorietà di riportare i casi di abuso La legge, in Australia, varia da Stato a Stato, ma in generale c’è un obbligo di riportare un possibile abuso in presenza di informazione credibili. I sacerdoti possono e devono riportare, ma questo non a discapito del sigillo della confessione. Questo è un tema importante, perché mostra che c’è una incomprensione del sacramento. I sacerdoti, così, si trovano ad avere un problema da gestire. Ma rimuovere il segreto della confessione può anche avere effetti negativi. Si perde, ad esempio, la possibilità che qualcuno si vada a confessare e che dunque possa iniziare un percorso di guarigione. Quindi, si va a colpire la libertà religiosa, perché c’è una imposizione dello Stato sulla pratica religiosa.
Quali sono le più grandi sfide che deve affrontare oggi la Chiesa in Australia?
Si deve parlare il linguaggio del Vangelo al cuore delle famiglie e rinnovare il ruolo delle famiglie attraverso il matrimonio cristiano. Questo permette di costruire una mentalità cristiana e dunque di costruire la vita sul Vangelo. Si deve poi ricordare che questa non è responsabilità solo dei vescovi, ma di tutti i battezzati. Strutturalmente, poi, la sfida di meglio formare i seminaristi, ricostruire la vita nella parrocchia, impegnarsi con il popolo di Dio.
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