Ed improvvisamente nel settembre 2010 ha scritto al vescovo di Płock una lettera in cui accusava don Witkowski di averlo abusato sessualmente negli anni 1980-1981 quando era chierichetto nel suo villaggio natale. Questa mossa di Lisinski non è stata casuale: proprio nell’anno 2010 lui aveva trovato il sito web del Movimento delle vittime del Clero gestito dal polacco, Wincenty Szymański, che viveva in Canada. Dal sito ha imparato come chiedere un risarcimento alla Chiesa e nello stesso anno fa la denuncia presso la Curia contro don Witkowski.
In seguito alla denuncia il vescovo della città, Piotr Libera, inizia il processo nel corso del quale i membri della Corte episcopale hanno stabilito che non c'erano motivi per avanzare alcuna accusa contro il sacerdote. I risultati sono stati confermati da uno psicologo nominato dal tribunale. Ma negli anni successivi stava cambiando radicalmente l’atmosfera intorno al problema degli abusi sui minori da parte del clero. Nel 2013 viene prodotto in Polonia il film "Silenzio nell'ombra di Giovanni Paolo II" e nello stesso anno viene istituita la Fondazione "Non aver paura" con lo scopo di sostenere le persone abusate dai sacerdoti e di chiedere risarcimenti per loro.
Dai media è partita una massiccia campagna di denigrazione del clero e della Chiesa indicata come un “covo di pedofili”. Allora Lisinski inizia la sua attività nella Fondazione di cui sarebbe diventato il presidente. E in questa atmosfera di caccia alle streghe nel dicembre 2013, il vescovo Libera ha emesso un decreto in cui ha imposto a don Witkowski delle sanzioni, tra cui "il divieto dell’esercitare il servizio sacerdotale per un periodo di tre anni”. Nel 2017 Libera ha consegnato al sacerdote una copia del Decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in cui si conferma la punizione imposta dal vescovo, dichiarandola "giusta". Il problema è che il giornalista ha scoperto che la decisione della Congregazione è stata presa sulla base delle notizie inesatte trasmesse dal vescovo.
Il giornalista Karczewski tenta anche la spiegazione del comportamento di mons. Libera. Secondo lui, il vescovo voleva apparire come un capo che combatte decisamente gli abusi nella Chiesa e il caso di don Witkowski si presentava come un’occasione. Nessuno voleva indagare troppo su questo caso e il vescovo non ha sentito nessun testimone e neanche i parrocchiani che difendevano il sacerdote.
Ma Lisinski come “vittima degli abusi” era imprevedibile: nel 2014 ha scritto delle lettere al cancelliere della curia di Płock chiedendo "un sostegno finanziario" per un importo di 150 mila PLN (circa 35 mila euro) e successivamente un risarcimento di 200 mila PLN (47 mila euro). Si è scoperta una e-mail inviata da Lisinski al figlio dell'organista della parrocchia di don Witkowski dove chiede aiuto per avere 150 mila PLN di risarcimento dal Curia. Il suo messaggio finisce con le parole: “C'è tanto da guadagnare.
Vedo che questo prete della Curia è così spaventato che farà di tutto per scoraggiarmi di andare dai giornalisti(...) Ma tu, per favore, stai zitto”. Alla fine, mons. Libera non gli ha dato i soldi ma gli ha consegnato una copia del già citato decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che affermava che p. Witkowski era ritenuto colpevole. Lisiński è andato subito in tribunale con la copia del decreto: questa volta per ritirare le sue accuse chiedeva addirittura un milione di PLN (235 mila euro) di “ricompensa”.
Il sacerdote accusato ha intentato una causa contro Lisiński, ma il processo è stato bloccato dalla Curia. Don Mirosław Milewski, l'allora cancelliere della Curia di Płock, e ora vescovo ausiliare, ha chiamato don Witkowski e, a nome del vescovo, ha chiesto il ritiro immediato della causa dal tribunale. Ovviamente, nello spirito di obbedienza, il sacerdote l’ha fatto.
Dalle inchieste esce un vero ritratto di Lisinski, cinico e interessato solo ai soldi dei risarcimenti. Si è scoperto che da presidente della Fondazione “Non abbiate paura” pretendeva i soldi dalle persone che avevano ottenuto dei risarcimenti. Per esempio, ha chiesto i soldi da una donna, Katarzyna, vittima di un sacerdote che ha ricevuto un milione di PLN di risarcimento dai gesuiti. Per di più Lisinski ha messo in contatto i fratelli Sekielski che preparavano un film faziosissimo sugli abusi dei sacerdoti con le vittime di tali abusi. Per la sua comparsa nel film e per aver facilitato i contatti chiedeva 50 mila PLN (12 mila euro). Alla fine, i registi hanno deciso di non pagare ed eliminare la testimonianza di Lisinski dal film.
Se questi fatti fossero stati rivelati prima probabilmente non ci sarebbe stato il famoso incontro di Lisinski con Francesco all’inizio del mese di gennaio. Ma i Sekielski hanno mantenuto il segreto per non compromettere il lancio del loro film e per non far capire che dietro le accuse contro i sacerdoti ci sono tante speculazioni.
Purtroppo, le rivelazioni giornalistiche hanno gettato un’ombra anche sull’operato della Curia di Plock e del vescovo Libera che, applicando acriticamente la regola di “tolleranza zero”, non ha fatto niente per capire bene il caso e difendere un sacerdote, sicuramente innocente. In questo contesto bisogna guardare indubbiamente la decisione di Libera di lasciare per 6 mesi il governo della diocesi e ritirarsi, a partire dal primo luglio, nel convento dei camaldolesi per un periodo di “penitenza e preghiera per la Chiesa in Polonia e la sua diocesi”.
Tutta la storia rivela come la lotta agli abusi sui minori si è spostata sul piano delle pure rivendicazioni economiche, della lotta contro la Chiesa e della politica. In questa situazione i vescovi dovrebbero affrontare il problema delle accuse contro i sacerdoti con maturità, responsabilità e cautela straordinarie. Piegarsi al politicamente corretto, assecondare le aspettative dei media, affrettare il giudizio sulla colpa potrebbero soltanto aggravare la situazione ed alimentare sempre di più la spirale di bugie.
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