Ci sono differenti opinioni in Bulgaria. Ci sono vescovi aperti. Soprattutto, il patriarca Neofit è molto aperto e molto cordiale, il Santo Padre lo ha sottolineato nel volo di ritorno dal viaggio. Ci sono altri vescovi che hanno problemi con l’ecumenismo. Io faccio sempre esperienza di una realtà: c’è un prima della visita del Papa e un dopo la visita del Papa. Prima della visita ci possono essere problemi e reazioni un po’ forti, ma dopo la visita tutto cambia. Questo significa che la presenza del Papa aiuta molto ad aprire al dialogo.
La Chiesa Ortodossa Bulgara non partecipa alla Commissione Teologica Internazionale Cattolica Ortodossa. Crede che ora sia tempo anche per la Chiesa ortodossa bulgara di partecipare?
Non abbiamo parlato di questo. È chiaro che la Chiesa Ortodossa Bulgara non ha mai partecipato a questa grande commissione internazionale mista in cui ci sono 14 Chiese ortodosse presenti, con l’eccezione, appunto, della Chiesa bulgara. Sarebbe bello partecipassero a questo dialogo.
In Macedonia del Nord c’è una Chiesa Ortodossa autocefala, non riconosciuta però dalla comunione ortodossa. Con questa Chiesa, comunque, i rapporti sono buoni. Quanto è difficile mantenere buoni rapporti quando una delle Chiese è considerata scismatica?
È chiaro che in linea di principio abbiamo rapporti ufficiali soltanto con le Chiese canoniche. In Macedonia del Nord c’è una situazione difficile: la Chiesa ortodossa si è dichiarata autocefala, ma c’è anche una arcidiocesi della Chiesa Ortodossa Serba. Proprio a motivo di questo e del fatto che abbiamo contatti ufficiali solo con le Chiese canoniche, non c’è stato un incontro ufficiale del Papa con la Chiesa Ortodossa Autocefalala durante la visita in Macedonia del Nord.
Sembra che i rapporti con la Chiesa Ortodossa Romena siano molto buoni. È anche vero, però, che la preghiera del Padre Nostro nella Cattedrale Nazionale non è stata pronunciata insieme, ma consecutivamente. Ancora c’è strada fare ?
Ci sono buoni rapporti, che sono stati approfonditi con la visita di Papa Francesco. Il problema della preghiera comune è differente: non soltanto la Chiesa Ortodossa Romena, ma anche altre Chiese ortodosse, fanno riferimento a un canone della Chiesa antica per il quale non si può pregare insieme se non c’è comunità ecclesiale. Era già molto importante, però, la possibilità di poter essere presenti nella cattedrale e pregare il Padre Nostro in latino e romeno. Non dobbiamo vedere il bicchiere mezzo vuoto, ma mezzo pieno, e i passi che vengono fatti.
Quale di questi tre viaggi è stato più difficile da organizzare dal punto di vista ecumenico?
Non direi “difficile”. Ci sono dei problemi da superare. Ma l’ecumenismo ha due virtù: la passione per l’unità e la pazienza. Passione e pazienza: queste le virtù su cui lavorare.
E le visite del Papa contribuiscono a buttare già dei muri?
Non parlerei di muri, ci sono problemi del passato. Dobbiamo essere consapevoli che abbiamo una divisione di mille anni e non è facile superare questi problemi. Soprattutto nel secondo millennio ci sono stati sviluppi molto diversi nell’Est e nell’Ovest. Ritrovare l’unità non è facile, proprio per questo motivo.
Papa Francesco è stato in tre Paesi che erano al di là della Cortina di Ferro, proprio lì dove il comunismo ha avuto un ruolo importante anche nella religione, spesso costringendo le confessioni cristiane ad essere assorbite dalla Chiesa ortodossa. Quanto sono forti le sfide del passato?
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Si tratta di una pesante eredità del tempo sovietico. Soprattutto a partire da Stalin, la Chiesa Greco Cattolica, in maniera speciale in Ucraina, Romania e nella Transcarpazia, è stata proibita e i vescovi greco cattolici hanno dovuto diventare ortodossi o affrontare il martirio. Ma la Chiesa Greco Cattolica ha affidato molto bene questo periodo ed è riuscita ad arrivare al cambiamento del 1989, quando è riemersa. La sua presenza ha creato nuove accuse di uniatismo e proselitismo. È chiaro che ci sia un dolore, una ferita. Una indicazione chiara è venuta dalla dichiarazione di Balamand del 1993, su “L’uniatismo. Metodo di unione del passato e ricerca attuale della piena comunione”. La dichiarazione dice due cose: che l’uniatismo (il processo di unificazione di alcune Chiese con Roma, ndr) non è più un metodo per ritrovare l’unità oggi, ma è un metodo del passato; e che le Chiese cattoliche di rito orientale hanno il diritto di esistere e di essere dotate dei loro strumenti pastorali. Sono indicazioni che si ritrovano anche nella dichiarazione comune di Papa Francesco e il Patriarca di Mosca Kirill all’Avana del 12 febbraio 2016. E questo è molto importante.
A proposito di Chiese cattoliche di rito orientale, queste possono essere davvero un ponte con il mondo ortodosso?
Per gli ortodossi le Chiese cattoliche di rito orientale sono sempre una ferita e un problema per via della questione dell’uniatismo di cui ho appena parlato. D’altra parte, però ,potrebbero essere un ponte: hanno l’unità con Roma e la tradizione bizantina. Il decreto del Concilio Vaticano II “Orientalium Ecclesiarum” sulle Chiese cattoliche orientali sottolinea che queste Chiese hanno una responsabilità particolare nella ricerca di una ritrovata unità tra le Chiese cattoliche e le Chiese ortodosse. Per noi, le Chiese cattoliche di rito orientale sono una ricchezza: mostrano che la Chiesa cattolica non è uniforme, che ci sono diverse tradizioni nella nostra Chiesa, ci sono anche diverse modalità di giurisdizione per l’elezione di un vescovo. Anche questo può aiutare.
Parlando di dialogo teologico, sembra che dalla dichiarazione di Ravenna del 2003, in cui si ammetteva un primato dato alla Chiesa di Roma, il dibattito sia rimasto fermo. A che punto siamo?
In realtà, dal documento di Ravenna abbiamo potuto fare passi importanti. Dopo Ravenna, la tematica principale era il rapporto tra sinodalità e primato. Questo ha portato nel 2016 a pubblicare un documento sul rapporto tra sinodalità e primato nel primo millennio dopo la riunione di Chieti della Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse. Ora stiamo lavorando a un documento sul rapporto tra sinodalità e primato nel secondo millennio ed oggi. Il tema cruciale è quale ruolo avrebbe il vescovo di Roma nell’unità futura. Per tutti gli ortodossi è chiaro: hanno una taxis (un ordine) e questa taxis è “Roma – Costantinopoli – Alessandria – Antiochia – Gerusalemme. È chiaro che Roma è la prima sede, si deve definire quale responsabilità avrà in futuro.
Quanto influisce in questo dialogo la situazione in Ucraina, dopo la proclamazione dell’autocefalia?