La strada da seguire è quella del dialogo tenendo “presente la differenza tra l’ideologia del gender e le diverse ricerche sul gender portate avanti dalle scienze umane”.
Il primo passo è quello dell’ascolto. Il testo riporta la storia delle teorie gender fino al queer e ai poliamori: “Si vorrebbe, pertanto, che ogni individuo possa scegliere la propria condizione e che la società debba limitarsi a garantire tale diritto, anche mediante un sostegno materiale, altrimenti si realizzerebbero forme di discriminazione sociale nei confronti delle minoranze. La rivendicazione di tali diritti è entrata nel dibattito politico odierno, ottenendo accoglienza in alcuni documenti internazionali e inserendosi in alcune legislazioni nazionali”.
Combattere le discriminazioni o promuovere i valori della femminilità sono certamente punti di incontro, ma le criticità portano ad un “dualismo antropologico: alla separazione tra corpo ridotto a materia inerte e volontà che diviene assoluta, manipolando il corpo a suo piacimento” anche perché “l’utopia del “neutro” rimuove ad un tempo sia la dignità umana della costituzione sessualmente differente, sia la qualità personale della trasmissione generativa della vita. Si svuota – in questo modo – la base antropologica della famiglia”.
Occorre allora ragionare perché “la formazione dell’identità si basa proprio sull’alterità: nel confronto immediato con il “tu” diverso da me riconosco l’essenza del mio “io”” e “la complementarità fisiologica, basata sulla differenza sessuale, assicura le condizioni necessarie per la procreazione”.
La proposta della antropologia cristiana porta a comprendere “alla luce dell’unità di anima e di corpo, l’« unità delle sue inclinazioni di ordine sia spirituale che biologico e di tutte le altre caratteristiche specifiche necessarie al perseguimento del suo fine »”. Per questo “alla luce di una ecologia pienamente umana e integrale dunque, la donna e l’uomo riconoscono il significato della sessualità e della genitalità in quell’intrinseca intenzionalità relazionale e comunicativa che attraversa la loro corporeità e li rimanda l’uno verso l’altro mutuamente”.
Ruolo fondamentale quello della famiglia il cui primo diritto è quello di essere riconosciuta come lo spazio pedagogico primario per la formazione del bambino. C’è poi il diritto del bambino “a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Continuando a maturare nella relazione, nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, e così preparando la maturità affettiva”.
Si arriva così al ruolo della scuola “luogo di incontro, promuove la partecipazione, dialoga con la famiglia, prima comunità di appartenenza degli alunni che la frequentano, rispettandone la cultura e ponendosi in profondo ascolto dei bisogni che incontra e delle attese di cui è destinataria”.
E “di fronte a un bombardamento di messaggi ambigui e vaghi – il cui fine è un disorientamento emotivo e l’impedimento della maturità psico-relazionale – «occorre aiutarli ( i bambini) a riconoscere e a cercare le influenze positive, nel tempo stesso in cui prendono le distanze da tutto ciò che deforma la loro capacità di amare ».
Anche perché “è sempre più evidente che il declino della cultura del matrimonio è associato a un aumento di povertà e a una serie di numerosi altri problemi sociali che colpiscono in misura sproporzionata le donne, i bambini e gli anziani. E sono sempre loro a soffrire di più, in questa crisi”.
Il patto educativo prevede che oltre la famiglia “ogni altro partecipante al processo educativo non può che operare a nome dei genitori, con il loro consenso e, in una certa misura, persino su loro incarico”.
Responsabilità dei dirigenti scolastici e degli insegnati è “garantire un servizio qualificato coerente con i principi cristiani che costituiscono l’identità del progetto educativo, nonché di interpretare le sfide contemporanee attraverso una testimonianza quotidiana fatta di comprensione, obiettività e prudenza”.
Serve ovviamente preparazione, equilibrio e dialogo, anche perché “l’approccio ideologizzato alle delicate questioni del genere, pur dichiarando il rispetto delle diversità, rischia di considerare le differenze stesse in modo statico, lasciandole isolate e impermeabili l’una dall’altra”.
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E la proposta educativa cristiana “arricchisce il dialogo in ragione della finalità di «favorire la realizzazione dell’uomo attraverso lo sviluppo di tutto il suo essere, spirito incarnato, e dei doni di natura e di grazia di cui è arricchito da Dio».
Ecco perché uno Stato democratico non può infatti ridurre la proposta educativa ad un pensiero unico e “ogni istituzione scolastica deve, quindi, dotarsi di strumenti organizzativi e programmi didattici che rendano reale e concreto questo diritto dei genitori. In tal modo, la proposta pedagogica cristiana si concretizza come una solida risposta alle antropologie della frammentazione e del provvisorio”.
La scommessa è quella di cooperare a formare ragazzi aperti e interessati alla realtà che li circonda, capaci di cura e di tenerezza.