Don Olah Zoltan, portavoce della diocesi di Alba Iulia, spiega ad ACI Stampa che “Sumuleu Ciuc / Czyksomlyo ha una storia particolare. Ogni anno il pellegrinaggio avviene il sabato di Pentecoste, vengono gruppi di pellegrini da ogni parte. È un pellegrinaggio che si celebra in ungherese, ma partecipano anche persone di altre lingue”.
È un pellegrinaggio enorme, che ogni anno ha luogo fuori, su una collina vicino al santuario, dove possono trovare posto i 300 mila pellegrini. “È un posto bello – dice padre Olah – molto caro a noi pellegrini che andiamo ogni anno lì. Non sappiamo ancora quanti pellegrini parteciperanno per la visita di Papa Francesco, ma speriamo che saranno ancora di più del solito pellegrinaggio di Pentecoste”.
La consegna della rosa d’oro alla Madonna di Csiksomlyo è un gesto altamente simbolico.
Si tratta di una antica onoreficenza pontificia destinata ai santuari più importanti: Pio XII conferì la rosa d’oro alla tomba di San Francesco Saverio nel 1953, Paolo VI la diede alla Natività di Betlemme e a Fatima nel 1965 e al santuario di Guadalupe nel 1966, Giovanni Paolo II la diede al santuario della Madonna Nera di Czestochowa nel 1979, a quello di Loreto nel 1995 e a quello di Lourdes nel 2004. Infine, Benedetto XVI ha onorato di una rosa d’oro i santuari di Aparecida (Brasile) e Mariazell (Austria) nel 2007 e il santuario della Madonna di Roio a L’Aquila nel 2009.
Questa sarà la quarta rosa d’oro donata da Papa Francesco, dopo quelle lascate a Fatma, Torino e Guadalupe. E sarà l’unica rosa d’oro nei Carpazi, mentre le più vicine in zona sono quelle di Mariazell e di Velehrad, in Repubblica Ceca, sulla tomba di San Metodio.
La rosa che Papa Francesco porterà a Sumuleu Ciuc avrà come base un marmo rosa e sarà in un vaso argentato con stemma papale. La rosa è alta circa 84 centimetri, pesa 1,200 chilogrammi.
Sarà uno dei simboli di questo pellegrinaggio molto sentito dalla popolazione locale. Un pellegrinaggio che va a toccare vicende storiche di una certa delicatezza. La Transilvania è passata alla Romania dopo la Dichiarazione di Alba Iulia dell’1 dicembre 1918, e uno dei firmatari fu proprio il vescovo greco cattolico rumeno Iulu Hossu, che verrà beatificato durante la visita di Papa Francesco a Blaj.
Da una parte, c’è dunque una forte identità magiara, che ha mal digerito la centralizzazione del neo-costituito Stato romeno. Dall’altra, l’identità romena che inseguiva il sogno della Grande Romania. E nel mezzo la fede, sempre cattolica, sempre legata a Roma, sebbene declinata secondo i due riti bizantino e latino.
Sono due component che però subiscono insieme la persecuzione, persino l’annientamento o l’assorbimento nella Chiesa ortodossa nazionale, dopo la Seconda Guerra Mondiale e l’avvento del Comunismo.
Il vescovo di Alba Iulia Aron Marton (1938 – 1980), conosciuto nella zona semplicemente come “il vescovo”, fu incarcerato e confinato, senza però mai cedere alle pressioni. Andò persino peggio ai vescovi Szilard Bogdanffy di Oradea e Janos Scheffer di Satu Mare, che furono martirizzati nelle prigioni comuniste.
Dopo la fine del regime di Ceausescu, i pellegrinaggi a Sumuleu Ciuc ripresero, mentre furono ricostituite le diocesi di Oradea e Satu Mare, che rimasero suffraganee di Bucarest anche quando la diocesi di Alba Iulia venne eletta al rango di arcidiocesi. Una scelta, questa, che ha mantenuto una sorta di frattura identitaria. Frattura che si è persino ampliata quando il “Perdono di Csiksomyo”, ovvero il pellegrinaggio di Pentecoste, fu candidato alla lista rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO, proposta ritirata dalla delegazione romena a seguito della richiesta di un adempimento tecnico e mai più ripresentata.
La visita di Papa Francesco, ovviamente, punta ad andare oltre alle diatribe territoriali, concentrandosi sul culto e sui singoli. I simboli dell’incontro, però, raccontano questa storia.
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La statua della Vergine, in legno d’acero, che rappresenta la Donna Vestita di Sole, è considerata la più grande statua del genere e sarà portata sul monte per essere insignita della Rosa d’Oro. È una delle poche occasioni in cui la statua, che scampò miracolosamente ad un incendio nel 1661, sarà portata fuori dalla Basilica.
Papa Francesco passerà anche attraverso un caratteristico portone Szekely, a ricordare che quella è la Terra dei Siculi, mentre la Messa sarà celebrata nella Sella del Monte Somlyo, sull’altare detto dei Tre Colli, il cui baldacchino è stato progettato dall’architetto ungherese Imre Makovecz e rappresenta i tre colli sormontati dalla croce patriarcale, un simbolo araldico del XIII secolo che rappresenta l’Ungheria, anche se i tre colli rappresentati sono ora in territorio slovacco.
Il crocifisso sull’altare è scolpito in legno di ciliegio e tiglio, l’Evangeliario è stato realizzato in cinque copie: una resterà al santuario, le altre quattro alle quattro diocesi latine-ungheresi d Romania.
Le vesti liturgiche sono state ideate da Cristina Sabău-Trifu di Satu Mare/Szatmárnémeti, e sulla casula del papa sono raffigurate la statua della Madonna di Csíksomlyó e la chiesa del santuario.
Ogni dettaglio sta a raccontare, insomma, una Romania dalle molteplici identità. Un secolo dopo la costituzione della Grande Romania, le realtà locali mantengono con forza le loro tradizioni e la loro lingua. Giovanni Paolo II avrebbe voluto valorizzarle tutte. È un compito che spetta ora a Papa Francesco