Papa Francesco sottolinea che la Chiesa osserva con “preoccupazione” le emergenti “correnti aggressivi verso gli stranieri”, e in particolare gli immigrati, e il nazionalismo che “tralascia il bene comune” e mette a rischio “forme già consolidate di cooperazione internazionale”, mettendo a rischio “gli scopi delle organizzazioni internazionali”, ostacolando “il conseguimento degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile”.
Nota il Papa che lo Stato è piuttosto “al servizio della persona” e di quelli che chiama “raggruppamenti naturali”, al primo posto dei quali c’è la famiglia. Eppure, prosegue il Pontefice, gli Stati “troppo spesso vengono asserviti agli interessi di un gruppo dominante, per lo più per motivi di profitto economico, che opprime, tra gli altri, le minoranze etniche, linguistiche o religiose che si trovano nel loro territorio”.
Papa Francesco sottolinea che “il modo in cui una nazione accoglie i migranti rivela la sua visione della dignità umana e del suo rapporto con l’umanità”, perché tutti sono membri famiglia umana e quindi “quando una persona e una famiglia è costretta a lasciare la propria terra va accolta con umanità”, secondo i quattro verbi, delineati anche nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2018, accogliere, proteggere, promuovere e integrare.
Afferma Papa Francesco: “Il migrante non è una minaccia alla cultura, ai costumi e ai valori della nazione che accoglie. Anche lui ha un dovere, quello di integrarsi nella nazione che lo riceve". Ma - aggiunge il Papa - "integrare non vuol dire assimilare, ma condividere il genere di vita della sua nuova patria, pur rimanendo sé stesso come persona, portatore di una propria vicenda biografica”.
L’autorità pubblica – rimarca Papa Francesco - deve “proteggere i migranti” e “regolare con la virtù della prudenza i flussi migratori”, ma anche “promuovere l’accoglienza in modo che le popolazioni locali siano formate e incoraggiate a partecipare consapevolmente al processo integrativo dei migranti che vengono accolti”.
Per Papa Francesco, parlare di questione migratoria significa riflettere sullo Stato nazionale, perché “tutte le nazioni sono frutto dell’integrazione di ondate successive di persone o di gruppi di migranti”, immagine “della diversità dell’umanità pur essendo unite da valori, risorse culturali comuni e sani costumi”.
E per questo “uno Stato che suscitasse i sentimenti nazionalistici del proprio popolo contro altre nazioni o gruppi di persone verrebbe meno alla propria missione”.
Sono deviazioni le cui conseguenze – dice il Papa – sono storicamente note ("Penso all'Europa del secolo scorso") dato che “lo Stato nazionale non può essere considerato un assoluto”, e tra l’altro nel mondo globale “lo Stato non è più in grado di procurare da solo il bene comune alle sue popolazioni”, perché “il bene comune è diventato mondiale e le nazioni devono associarsi per il proprio beneficio”.
Papa Francesco propone “una apposita autorità legalmente e concordemente costituita capace di agevolare” la attuazione di un bene comune sopranazionale. Quello di una “autorità globale con competenze universali” era un tema della Pacem In Terris, poi riportato in auge da un documento del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace nel 2011. Papa Francesco ora riprende l’idea e pensa di applicarla alle grandi sfide contemporanee del cambiamento climatico, delle nuove schiavitù e della pace.
Il Papa propone, secondo il principio di sussidiarietà, di dare alle nazioni la facoltà di operare “quanto esse possono raggiungere”, e di incoraggiare le cooperazioni regionali, magari con istituzioni intergovernative. E questo sarebbe importante anche in Europa, o in America Latina, dove ci fu il sogno di Simon Bolivar molto citato da Papa Francesco durante il viaggio a Panama per la GMG 2019.
Papa Francesco auspica un rilancio del multilateralismo, che sia opposto sia “alle nuove spinte nazionalistiche” che “ad una politica egemonica”, evitando “la minaccia del ricorso a conflitti armati ogni volta che sorge una vertenza tra Stati nazionali, come pure eluderebbe il pericolo della colonizzazione economica e ideologica delle superpotenze, evitando la sopraffazione del più forte sul più debole, prestando attenzione alla dimensione globale senza perdere di vista la dimensione locale, nazionale e regionale”.
Papa Francesco riporta la figura del poliedro, da opporre alla globalizzazione “sferica” che livella le competenze, e ricorda che “le istanze multilaterali sono state create nella speranza di poter sostituire la logica della vendetta, del dominio, della sopraffazione e del conflitto con quella del dialogo, della mediazione, del compromesso, della concordia e della consapevolezza di appartenere alla stessa umanità nella casa comune”.
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Ovvio che gli organismi multilaterali – dice Papa Francesco – sono chiamati ad assicurare che “gli Stati siano effettivamente rappresentati, a pari diritti e doveri, onde evitare la crescente egemonia di poteri e gruppi di interesse che impongono le proprie visioni e idee, nonché nuove forme di colonizzazione ideologica, non di rado irrispettose dell’identità, degli usi e dei costumi, della dignità e della sensibilità dei popoli interessati”.
La tendenza, infatti, è quella di gruppi di nazioni più grandi che escludono i più deboli – la diplomazia pontificia ha sempre criticato, ad esempio, la pratica dei G20, G8 e così via.
Si tratta di una tendenza, dice Papa Francesco, che va ad indebolire “il sistema multilaterale, con l’esito di una scarsa credibilità nella politica internazionale e di una progressiva emarginazione dei membri più vulnerabili della famiglia delle nazioni”.
Papa Francesco incoraggia infine a perseverare “nella ricerca di processi atti a superare ciò che divide le nazioni”, in particolare “riguardo alle nuove sfide del cambiamento climatico e delle nuove schiavitù, come anche a quell’eccelso bene sociale che è la pace”.
Papa Francesco poi mostra preoccupazione perché “la stagione del disarmo nucleare multilaterale appare sorpassata”, e sembra piuttosto “aprirsi una nuova stagione di confronto nucleare inquietante, perché cancella i progressi del recente passato e moltiplica il rischio di guerre, anche per il possibile malfunzionamento di tecnologie molto progredite ma soggette sempre all’imponderabile naturale e umano”, e la paura è la collocazione di armi nucleari offensive anche nello spazio.
Ed è per questo che lo Stato è chiamato “ad una maggiore responsabilità”, perché deve perseguire il bene della sua popolazione, ma è anche “suo compito partecipare all’edificazione del bene comune dell’umanità, elemento necessario ed essenziale per l’equilibrio mondiale”.