La visita del presidente della Lettonia da Papa Francesco
Il prossimo 25 aprile, in vista della scadenza del suo mandato presidenziale, Raimond Vejonis, presidente della Lettonia, sarà in visita di congedo da Papa Francesco. Vejonis aveva accolto il Papa a Riga nell’ambito del viaggio nei Paesi Baltici che il pontefice ha compiuto a settembre 2018.
I rapporti diplomatici tra Santa Sede e Lettonia sono molto buoni, anche grazie al lavoro della Chiesa locale, che vive una ottima relazione ecumenica con le Chiese protestanti ed è protagonista di molte iniziative (si era persino pensato di creare una facoltà ecumenica presso l’Università Statale).
Fu il legato apostolico Achille Ratti, il futuro Papa Pio XI, a negoziare il primo concordato tra Lettonia e Santa Sede nel marzo 1920, mentre il 10 giugno di quell’anno la Santa Sede riconobbe la Lettonia de iure. Il concordato fu firmato il 30 maggio 1922 e ad ottobre arrivò il primo amministratore apostolico, l’arcivescovo Antonino Zecchini.
Fu nel 1925 che la Lettonia nominò il primo ambasciatore presso la Santa Sede nella persona di Hermanis Albats, al tempo segretario generale del Ministero degli Affari Esteri. Il nunzio Antonino Arata successe all’arcivescovo Zecchini, morto nel 1935. Ma nel 1940, le relazioni diplomatiche furono unilateralmente interrotte dall’Unione Sovietica, che aveva illegalmente incorporato il territorio della nazione. La Santa Sede non riconobbe mai l’annessione.
Nel concistoro del 2 febbraio 1983, Giovanni Paolo II creò cardinale Julijans Vaivods, che fu il primo cardinale proveniente dall’Unione Sovietica. Quando nel 1991 la Lettonia riconquistò l’indipendenza, la Santa Sede riconobbe subito il nuovo Stato e già ad ottobre furono ripristinate le relazioni diplomatiche. Alla nomina del nunzio Justo Mullor Garcia fece seguito nel 1993 la nomina di Aija Odina come ambasciatore presso la Santa Sede.
Un accordo tra Lettonia e Santa Sede, sulla scia di quello già siglato nel 1922, fu firmato l’8 novembre 2000. L’accordo fu ratificato il 25 ottobre 2002
Il membro serbo della presidenza di Bosnia visiterà Papa Francesco il 26 aprile
Il presidente di turno della presidenza tripartita bosniaca Milorad Dodik si recherà il 26 aprile in visita da Papa Francesco. Secondo Igorn Crnadak, ministro degli Esteri di Bosnia, si tratterà “di una visita ufficiale”. L’annuncio ha suscitato reazioni negative da parte di rappresentanti delle associazioni delle vittime di guerra. Queste intendono rivolgersi alla nunziatura di Bosnia per chiedere di “riferire a Papa Francesco delle posizioni vergognose di Dodik, in primo luogo per quanto riguarda la glorificazione dei criminali di guerra e la negazione del genocidio”.
Dodik è uno dei tre presidenti che compongono la presidenza dello Stato, e rappresentano le tre etnie principali: quella bosgnacca (musulmana), quella serba (ortodossa) e quella croata.
Milorad Dodik aveva ottenuto il 55 per cento dei voti. Gli altri presidenti sono Šerif Džaferovic per il gruppo bosgnacc e Željko Komšic per il gruppo croato. Questi non è stato eletto con il voto dei croati, bensì da quello dei musulmani, grazie ad uno stratagemma permesso dalla legge elettorale e organizzato dalla dirigenza dell’SDA, dimostratosi vincente già nel 2006 e nel 2010.
L’assenza di un rappresentante croato crea delle tensioni, e da tempo i cattolici croati sono protagonisti di un esodo silezioso, più volte denunciato dal Cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo, che ha chiesto anche “eguale cittadinanza” per tutti.
Di questa situazione politica, a farne le spese è stato l’ambasciatore Gelo, non un diplomatico di carriera, che però già veniva dalla rappresentanza della Bosnia in Italia: questi è stato ambasciatore presso la Santa Sede solo da novembre 2018 a febbraio 2019.
Santa Sede e Bosnia Erzegovina hanno relazioni diplomatiche dell’anno dell’indipendenza di Sarajevo nel 1992.
Santa Sede e Bosnia hanno avuto difficili relazioni nel Medioevo, a causa della forza e della volontà di indipendenza della Chiesa bosniaca. Papa Onorio III e Gregoro IX predicarono persino una guerra contro la Bosnia, che culminò nella Crociata Bosniaca del 1235. Nel XV secolo, le relazioni tra Bosnia e Santa Sede migliorarono, tanto che Pio II inviò la corona da utilizzare per l’incoronazione del re Stephen Tomasevic nel 1461.
Le relazioni furono interrotte nel 1463, quando la Bosnia divenne parte dell’Impero Ottomano, e ripresero formalmente solo nel 1992, quando la Santa Sede fu tra le prime nazioni a riconoscere l’indipendenza e tra le prime a stabilire con essa relazioni diplomatiche.
Nel giugno 2007, la Camera dei Deputati di Sarajevo bloccò il progetto di un accordo con la Santa Sede sostenendo che si sarebbero dovuti regolare prima le relazioni con la Chiesa Ortodossa Serba. Nonostante sia stato fatto notare che si trattava di due diversi tipi di relazioni – la Chiesa Ortodossa Serba è una comunità religiosa, non uno Stato – i membri serbi del Parlamento fecero blocco compatto nel bloccare l’accordo.
Solo il 20 agosto 2007 l’accordo fu ratificato. Con l’accordo, si riconosceva la personalità giuridica pubblica della Chiesa Cattolica in Bosnia e si garantivano una serie di diritti, tra cui il riconoscimento delle vacanze cattoliche.
Giovanni Paolo II avrebbe voluto visitare Sarajevo nel 1994, durante l’assedio di Sarajevo, ma questo non fu possibile a causa delle condizioni di sicurezza. Giovanni Paolo II poté andare nella capitale della Bosnia solo nel 1997 dopo la guerra, e Momcilo Kraiisnik, membro serbo della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina, rifiutò di accogliere Giovanni Paolo II all’aeroporto internazionale di Sarajevo, sottolineando che i cristiani ortodossi non riconoscono i Papi. Krajisnik incontrò Giovanni Paolo II due giorni più tardi, insieme agli altri membri della presidenza.
I membri della presidenza tripartita Mirko Sarovic, Sulejman Tihic e Dragan Covic visitarono Giovanni Paolo II nel 2003, e Sarovic, membro serbo, invitò Giovanni Paolo II a visitare la Bosnia di nuovo. Giovanni Paolo II visitò Banja Luka nel giugno successivo, e fu una delle accoglienze più fredde abbia mai ricevuto.
Papa Francesco ha visitato Sarajevo il 7 giugno 2015.
La Santa Sede all’ONU di New York: la difesa delle persone anziane
Il 15 aprile, si è tenuta alle Nazioni Unite una sessione del gruppo sull’Invecchiamento su “Misure per accrescere la promozione e la protezione dei diritti umani delle persone anziane”. È intervenuto anche l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di New York.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Auza ha detto che l’esclusione delle persone anziane deve terminare, e un modo di porre fine a questa esclusione è con l’avanzamento dei loro diritti umani e il riconoscimento del loro contributo.
L’arcivescovo Auza ha lodato l’attenzione che viene data alla loro educazione e al loro apprendimento costante, che va di pari passo all’attenzione data per la protezione e la sicurezza speciale, “specialmente in un contesto in cui la loro protezione e sicurezza è negata da alcuni che li considerano come membri della società che sono di peso, improduttivi ed inutili.
Questa visione degli anziani si nota “in particolare nelle sinistre pratiche dell’eutanasia e del suicidio assistito, che la Santa Sede condanna fermamente”. La Santa Sede sottolinea che non c’è bisogno di una nuova convenzione per i diritti dei più anziani, quanto piuttosto “assicurare e promuovere i diritti che sono già nella legge internazionale, in particolare nei momenti vulnerabili di malattia e fragilità”.