E i primi versi citati sopra appartengono a questa poesia.
Gli altri versi, invece, sono tratti da una poesia di Rabindranath Tagore. Sarà una semplice suggestione, ma ci sembra possibile leggervi delle assonanze, dei rimandi, delle immagini che ritornano e si rispecchiano le une nelle altre. Un filo di luce che riverbera da un verso all'altro, da un secolo all'altro.
La riflessione nasce vagando tra le pagine di un libro di Tagore, appena pubblicato. Si seguono le orme di un viaggio fisico, e interiore. Alzando lo sguardo, il poeta vede le eterne nevi dell'Himalaya, un'orizzonte infinito, che riverbera nella solitudine e nel silenzio delle pianure sconfinate. In questo mondo di luce le visioni lo vengono a cercare, ma il suo cuore è rimasto lontano, sulle rive del fiume senza fine, il Gange. E' arrivato qui Tagore, nel 1913, stanco, oppresso da pensieri di tristezza e di delusione. Ha appena ricevuto il premio Nobel per la letteratura, ha concluso un lungo giro di conferenze in Inghilterra e negli Stati Uniti, dunque dovrebbe essere gratificato e sereno, invece ci sono state polemiche, articoli di giornali pro e contro, feroci prese di posizione.
Il poeta non ne può più e decide di concedersi una vacanza, o meglio un periodo di solitudine e di purificazione, nel silenzio e nella vastità ai piedi dell'Himalaya. Un luogo che ama e che conosce d a molto tempo. Pensa di ritrovare la pace e l'equilibrio della mente e dello spirito.
Ma anche qui lo inseguono voci, suoni, di una vita pullulante, che si insinuano nelle sue meditazioni davanti alle nevi eterne, e si concretizza una nuova poesia, un filo di luce che lo porta sulla strada dell'infinito.
E sono le settantotto poesie della raccolta "Verso l'altra riva", che ora vengono riproposte in una nuova e pregevole edizione dalla Lindau, a cura di Brunilde Neroni. Canti di gioia e di dolore, dinanzi alle meraviglie della vita, davanti al Mistero, canti di invocazione a Dio, parole che esprimono la speranza di incontrare al più presto il Vero Amore, il Re, l'ospite, la Guida, Luce che discende "come nuvola estiva (...) con la promessa della vita segreta e con la gioia del verde".
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Con Tagore la poesia si eleva spesso come una preghiera e come un'invocazione. E come uno sguardo dilatato, che parte dal cuore e si spinge fino agli occhi, abbraccia il mondo circostante, con tenerezza e felicità dipinge la bellezza della luce, del cielo attraversato dalle nuvole, dei campi, del mare, delle cime montuose.
Ricrea i suoni della natura, il fruscio del vento tra le foglie, lo sciabordio delle onde contro le barche. E la bellezza dell'umanità, anche se piagata, stremata, indifesa, tormentata. Per questo la poesia di Tagore non appare mai datata, anche se effettivamente si tratta di un autore cult negli anni Settanta, la cui fama e diffusione si è offuscata nei decenni successivi, ma è tornata a brillare negli ultimi tempi. Perché i suoi versi sono senza tempo, lontani da qualsiasi intellettualismo, ma le cui radici affondano in una cultura e in una spiritualità antichissime, come quelle espresse nel Veda.
Da considerare, poi, che Tagore ammurava e amava il cristianesimo, tanto da aver creato una sorta di fusione con il politico induista e generato un panteismo mistico che vedeva la manifestazione di Dio in ogni realtà naturale. Ovviamente gli anni Settanta non potevano non essere attratti da questa concezione, con la cultura hippie, beat, e via dicendo...Ma al di la' di questi innamoramenti generazionali e le mode del momento, la sua poesia esprime un sincero anelito alla bellezza della vita e alla ricerca dell'Assoluto.