Caterina ribatte sempre ricordando che la Chiesa è santa, il suo corpo mistico è eternamente congiunto al Signore, suo Sposo, ma le membra possono essere infette, e se questo accade anche l'intero corpo ne soffre.
Caterina tratteggia questo grandioso affresco, attraversato da fosche ombre ma anche da luci sfolgoranti, come lui stessa fu per quel tempo tribolato, nelle sue lettere, nelle sue opere, soprattutto in quella, incomparabile, che titolo' "Dialogo della divina Provvidenza".
Un'opera molto difficile da leggere, per noi, con le sue parole dure, giudizi lapidari che oggi suonano come " politicamente scorretti", ma che nella sostanza possiede potenza, lucidità, spiritualità e un'attualita' sorprendenti. Occasione per accostarsi a quest'opera monumentale è la nuova edizione appena uscita in libreria a cura della casa editrice Città Nuova, tradotta da Angelo Belloni, in un linguaggio accessibile ai lettori di questa epoca, per permettere, come si legge nella presentazione dell'opera, "quella, prima indispensabile conoscenza dei contenuti che Innun secondo tempo spingerà molti a risalire al testo originale per coglierlo in tutta la ricchezza e immediatezza dei suoi dettagli".
Il Dialogo viene composto a Siena, dove Caterina è nata nel 1347, e viene scritto probabilmente tra il 1377 e il 1378, a due anni dalla morte, avvenuta a Roma il 29 aprile 1380. Da molti viene considerato l'opera cateriniana per eccellenza, la summa del suo pensiero, aperto ai grandi problemi del suo tempo, della Chiesa e dell'Europa, ma soprattuto straordinario viaggio interiore alla scoperta del Divino che vive già dentro l'umano.
Riesce sempre a stupire come una giovane donna, quasi analfabeta, destinata, tutt'al più, a diventare moglie e madre, che scegliendo la via della consacrazione, riesce a superare i mille pregiudizi e condizionamenti culturali e sociali ed è diventata la voce della coscienza critica del suo tempo, ha saputo affrontare le grandi emergenze del suo tempo tumultuoso, ha creduto fortemente nel potere della scrittura e l'ha usato, non certamente per ambizione personale, per il semplice piacere di coltivare l'intelletto o l'arte della letteratura.
Nel Dialogo indica la via lunga, difficile, piena di ostacoli e di dolore che l'uomo che vuole realmente seguire Cristo deve percorrere, la strada che la purificazione dell'anima pretende debba essere affrontata. Nulla di quel che circonda Caterina le è estraneo, nulla della realtà viene censurato. Il suo sguardo è penetrante, impietoso ma insieme misericordioso, perché davvero la misura del suo giudizio è quella del cuore che ama.
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Guardando dalla prospettiva dell'eternità tutto puo' e deve essere salvato, perché l'umanità è stata riscattata dal sacrificio sulla Croce. Nessuna concessione ad una visione "relativa", il peccato viene chiamato con il suo nome, il peccatore deve convertirsi, la misericordia non si deve pretendere, si deve implorare, attraverso la "dottrina delle lacrime".
Caterina si aggira tra le rovine spirituali del suo tempo e chiede incessantemente a Dio di rispondere alle sue domande, al bisogno di tornare ad una vita che abbia senso, per restituire al mondo la sua originaria bellezza. La divina Provvidenza, nei suoi vertiginosi abissi, non lascerà alla decadenza e dissoluzione la Sua creazione d'amore. In fondo, è come se Caterina avesse intrapreso un cammino nelle tenebre, insieme a chi la legge e la segue, per poi "uscire a riveder le stelle".