La Santa Sede a Ginevra: in agenda, la sanità per tutti
Si è tenuto a Ginevra lo scorso 28 gennaio il 144esimo incontro del Consiglio di Amministrazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Si discuteva, in particolare, della copertura sanitaria universale. L’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ONU di Ginevra ed altre organizzazioni internazionali, ha sottolineato l’apprezzamento della Santa Sede per la Conferenza Globale sulla Cura Sanitaria primaria, organizzata nell’ottobre 2018 dall’OMS, il governo del Kazakhstan e l’UNCEF. Questa conferenza ha portato alla dichiarazione di Astana, che chiedeva un rinnovamento della cura sanitaria primaria, che già era contenuta nella dichiarazione di quaranta anni prima di Alma-Ata.
L’arcivescovo Jurkovic ha dunque sottolineato che “la Santa Sede riafferma la necessità di chiamare tutti gli stakeholders a fare una azione condivisa per costruire una cura sanitaria primaria e sostenibile e raggiungere una copertura sanitaria universale”.
La Santa Sede ha messo a disposizione la sua rete di ospedali cattolici. Nei numeri forniti dall’arcivescovo Jurkovic, ci sono 5287 ospedali cattolici nel mondo e 15397 dispensari, mentre istituzioni di Chiesa gestiscono anche 15722 programmi residenziali per gli anziani e per le persone che vivono con malattie debilitanti croniche ed altre disabilità, in ogni parte del mondo.
La maggioranza di queste istituzioni – ha aggiunto l’arcivescovo Jurkovic – fornisce “cura primaria, integrale e centrata sulla persona tutti quanti hanno bisogno, con uno speciale impegno per quanti sono tra i più poveri ed emarginati. Una cura fatta con il dovuto riconoscimento alla sacralità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale, e che aiuta le comunità locali fino alle basi”.
La Santa Sede a Ginevra: salute per i migranti
Il board dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha discusso il 30 gennaio di “Promuovere la salute di rifugiati e migranti”. Intervenendo nel dibattito, l’arcivescovo Jurkovic ha messo in luce gli sviluppi della Bozza di Piano di Azione Globale 2019-2023 destinato a promuovere la salute di rifugiati e migranti. La Santa Sede ha chiesto di porre particolare attenzione all’urgenza delle necessità sanitarie di migranti e rifugiati, specialmente considerando che, stando alle cifre, la migrazione internazionale è cresciuta del 49 per cento tra il 200 e il 2017, con una particolare vulnerabilità registrata sugli sfollati forzati, che sono 68,5 milioni, e gli apolidi, 10 milioni”.
La Santa Sede ha sottolineato che c’è bisogno di migliorare la comunicazione generale con i migranti e i rifugiati, e di contrastare la xenofobia, cosa che richiederà una “attenzione focalizzata e concertata”, considerando che questi temi esercitano correntemente un forte impatto sul benessere generale, e chiede che il Piano di Azione riconosca la necessità di coinvolgere un ampia gamma di “stakehlders”.
La Santa Sede ha però espresso “profonda preoccupazione” per l’inclusione dei cosiddetti “diritti riproduttivi”, e ribadito che né l’aborto né i servizi abortivi possono essere considerati “una dimensione della salute riproduttiva”, e che non supporta “alcuna forma di legislazione che dia riconoscimento legale e l’aborto”, spiegando che il tema “salute sessuale e riproduttiva” va considerato come “servizi di salute sessuale e riproduttiva”, con un concetto olistico di salute che non include né l’aborto, né l’accesso all’aborto né l’uso degli abortifacenti”.
Proprio per questo, la Santa Sede chiede di cancellare dal Piano di Azione il cosiddetto “Pacchetto di Azioni Minime di Servizio”, perché questi pacchetti includono abortifacenti e strumenti per procurare l’aborto. Sono, in fondo, le stesse critiche rivolte dalla Santa Sede all’Accordo Globale sui Migranti.
La situazione in Congo
Dopo le elezioni in Congo, una delegazione della Conferenza Episcopale locale è stata presente alla nomina di Felix Tshisekedi come nuovo presidente. È stato padre Georges Kalenga, secondo vice segretario generale della Conferenza Episcopale, ha partecipato alla cerimonia inaugurale del presidente il 24 gennaio. Non si è trattato di una mossa per delegittimare il nuovo governo. Lo stesso sito della Conferenza Episcopale ha fatto notare che l’arcivescovo Marcel Utembi, presidente della Conferenza Episcopale, avrebbe partecipato se la cerimonia avesse avuto luogo il 18 gennaio, come inizialmente previsto.
La Conferenza Episcopale del Congo ha voluto chiarire la sua posizione perché molti media hanno speculato sulla posizione della Chiesa riguardo la nuova presidenza. È una situazione difficile. Sono state anche enfatizzate dichiarazioni dell’arcivescovo Fridolin Ambongo, da poco alla guida della diocesi di Kinshasa, che ha dichiarato che il nuovo presidente non deve dimenticare di “venire dal popolo”.
La situazione del Venezuela
Papa Francesco ha parlato del Venezuela in due occasioni durante il suo viaggio a Panama. Durante l’Angelus della domenica, chiedendo “una soluzione giusta e pacifica, nel rispetto dei diritti umani”. E quindi nella conferenza stampa in aereo, quando ha sottolineato di appoggiare tutto il popolo venezuelano, si è detto atterrito dal problema della violenza, e ha detto che “se hanno bisogno di aiuto, che si mettano d’accordo e lo chiedano”.
La Santa Sede aveva inizialmente operato una mediazione tra Maduro e l’opposizione, e Papa Francesco aveva inviato l’arcivescovo Claudio Maria Celli come suo inviato speciale. Ma la mediazione non funzionò. Il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, in più occasioni ha incontrato esponenti dell’opposizione venezuelana in Segreteria di Stato, mentre la Conferenza Episcopale Venezuelana è venuta due volte da Papa Francesco a portare i problemi della gente.
La diplomazia pontificia tiene, in questi casi, una posizione di prudenza, mantenendo comunque aperti i canali diplomatici. Per questo motivo, monsignor Kovakook, chargé d’affairs della nunziatura di Caracas, ha partecipato alla cerimonia di inaugurazione di Nicolas Maduro. Non per legittimare un governo che i vescovi hanno dichiarato illegittimo, ma per tenere aperti tutti i canali di dialogo.
Dialogo UE – Chiese Europee: una delegazione si incontra con la presidenza di Romania
Una delegazione di Chiese in Europa si è incontrata a Bucarest lo scorso 28 maggio con Teodor-Viorel Melescanu, ministro degli Affari Esteri di Romania, in occasione della presidenza romena del Consiglio d’Europa. Tra i delegati, c’era anche padre Oliver Poquillon, segretario generale della COMECE; la commissione di vescovi europei delegati che monitora le attività del Parlamento Europeo.
Oltre a lui, c’erano rappresentanti della Conferenza delle Chiese Europee (CEC), che non va confusa con il Consiglio Mondiale delle Chiese, e il CROCEU, il Comitato di Rappresentanti delle Chiese Ortodosse nell’Unione Europee.
Le quattro priorità della presidenza romena sono state delineate come: Europa di convergenza; Europa più sicura; Europa come attore globale più forte; Europa di valori comuni.
Secondo un comunicato della COMECE, la “delegazione ha apprezzato il dialogo con la presidenza romena riguardo l’importanza di mettere la persona umana al centro di società umane sempre più secolarizzate. Ha anche enfatizzato l’importanza di una visione globale sulla sicurezza, i temi ambientali, e del miglioramento dell’educazione religiosa attraverso l’educazione”.
La delegazione ha anche incontrato il Patriarca Daniel, della Chiesa ortodossa romena, e scambiato vedute sul ruolo delle Chiese nell’Unione Europea con Victor Opaschi, segretario di Stato per gli Affari religiosi.
Il nunzio in Romania incontra Papa Francesco
L’arcivescovo Miguel Maury Buendia, nunzio in Romania, ha incontrato Papa Francesco il 31 gennaio. L’incontro è parte dei regolari incontri dei nunzi con Papa Francesco, ma questo acquista particolare interesse perché la Romania sarà destinazione di uno dei prossimi viaggi di Papa Francesco, in programma dal 30 maggio al 2 giugno.
Sarà il secondo viaggio di un Papa nel Paese, dopo quello di San Giovanni Paolo II nel 1999, e il lavoro diplomatico per prepararlo è stato intenso. Alla fine, il programma del viaggio prevede tappe a Bucharest, Iasi, Blaj, Miercurea Ciuc, per incontrare tutte le comunità principali del Paese – ortodossa, cattolica, greco cattolica e minoranza ungherese.
Santa Sede e Romania hanno cominciato relazioni sin dal Medio Evo, come testimonia la corrispondenza tra la Sede Apostolica i governanti dei principati romeni dei secoli XIV e XV, grazie anche all’obiettivo comune di porre un freno all’espansione ottomana.
L’ambasciata romena presso la Santa Sede è stata stabilita nel 1920, e c’è stato uno sviluppo significativo delle relazioni tra le due guerre, ma furono interrotte brutalmente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’instaurazione del regime comunista, fino ad interrompersi ufficialmente il 4 luglio 1950.
I rapporti si sono ripristinati solo dopo la caduta del regime Ceausescu del dicembre 1989, e le relazioni diplomatiche sono riprese nel maggio 1990, mentre dal gennaio del 1998 il nunzio apostolico viene riconosciuto come decano del Corpo Diplomatico, come tradizione.
L’ambasciatore Josip Gelo in visita di congedo
Aveva presentato le sue lettere credenziali a Papa Francesco a novembre del 2018, ma è già richiamato in patria. Josip Gelo, ambasciatore di Bosnia presso la Santa Sede, ha avuto l’incarico per pochissimo tempo, travolto dallo tsunami elettorale che ha colpito la Bosnia Erzegovina.
Le elezioni hanno avuto luogo il 7 ottobre. La Bosnia Erzegovina ha tre presidenti membri della presidenza dello Stato, uno per ciascuna delle tre etnie principali: quella bosgnacco (musulmana), quella serba (ortodossa) e quella croata (catolica). Tra i serbi è stato eletto con il 55% dei voti Milorad Dodik, tra i musulmani ha prevalso Šerif Džaferovic, mentre tra i croati è stato eletto Željko Komšic, che però non è stato eletto con il voto dei croati, bensì da quello dei musulmani, grazie ad uno stratagemma permesso dalla legge elettorale e organizzato dalla dirigenza dell’SDA, dimostratosi vincente già nel 2006 e nel 2010.
In pratica, i croati non hanno il loro rappresentante, e questo crea sicuramente delle tensioni. Anche perché i cattolici, che sono tutti di etnia croata, stanno vivendo un esodo silenzioso, più volte denunciato dal Cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo, che ha chiesto anche “eguale cittadinanza” per tutti.
Di questa situazione politica, a farne le spese è stato l’ambasciatore Gelo, non un diplomatico di carriera, che però già veniva dalla rappresentanza della Bosnia in Italia.
È morto il principe degli Yazidi, il popolo perseguitato di Iraq
È morto il principe Tahsin Said Ali, principe degli yazidi, che aveva anche portato in una udienza generale la sofferenza del suo popolo a Papa Francesco. Il principe aveva 85 anni, ed è morto dopo una lunga malattia. Era capo religioso degli yazidi dal 1944, quando aveva 11 anni, e si era stabilito prima in Germania, e poi in Iraq.
Gli yazidi sono di lingua curda, e seguaci di una religione esoterica monoteista che si basa su un libro sacro ed è organizzato in caste. Dal 2014, quando l’ISIS ha cominciato a imperversare per l’Iraq, gli yazidi sono stati, insieme ai cristiani, la religione più perseguitata, e nel loro caso si è parlato persino di un “genocidio potenziale”. Secondo il ministero degli Affari Religiosi della Regione Autonoma del Kurdistan, più di 6400 yazidi sono scomparsi, e di questi solo la sorte ella metà è conosciuta. Su 550 mila yazidi in Iraq prima della persecuzione jihadista, 100 mila hanno lasciato il Paese.
Tra loro, Nadia Murad, premio Nobel della pace 2018, che è stata rapita per un lungo periodo dall’ISIS., che è stata il 22 dicembre 2018 da Papa Francesco, in una udienza privata, dopo averlo incontrato a maggio 2017 in piazza San Pietro. La giovane ha regalato al Papa la sua autobiografia L’ultima ragazza. Storia della mia prigionia e della mia battaglia contro l’Isis (Mondadori).
Nata nel 1993, la giovane yazida nel 2014 era stata resa schiava dai militanti
Il 24 gennaio 2018, Papa Francesco ha ricevuto una rappresentanza della popolazione yazida di Germania. Nell’occasione, il Papa aveva denunciato “le indicibili violazioni dei diritti fondamentali della persona umana: rapimenti, schiavitù, torture, conversioni forzate e uccisioni”, ma anche la distruzione di santuari e luoghi di culto, mentre i più fortunati sono potuti fuggire, lasciando alle spalle “anche le cose più care e più sacre”. Papa Francesco aveva anche messo in luce che la Santa Sede “non si stanca di intervenire” per denunciare le situazioni di persecuzione di minoranze religiose ed etniche.”
Gli yazidi sono perseguitati dall’Islam wahabita che li considera apostati, mentre i sunniti li chiamano “adoratori del diavolo”, interpretando in maniera sbagliata la figura di Melek Taus, che confondono con Iblis, l’angelo ribelle della popolazione islamica. Gli yazidi, che parlano curdo, sono così ditribuiti: 650 circa sono in Iraq, 50 mila son in Siria, 40 mila in Germania, 40568 in Russia, 35272 in Armenia, 20843 in Georgia e circa 4 mila in Svezia.
Ante Jozic è il nuovo nunzio in Costa d’Avoria
Monsignor Ante Jozic è nunzio apostolico in Costa d’Avorio. L’annuncio è stato fatto dal governo ivoriano dopo il Consiglio dei ministri dello scorso 30 gennaio, mentre la nomina di Papa Francesco è stata ufficializzata il 2 febbraio . Monsignor Jozic era dal 15 settembre capo della Missione di Studio della Santa Sede ad Hong Kong, dopo una esperienza come consigliere di nunziatura a Mosca. In pratica, monsignor Jozic era il collegamento tra la Santa Sede e le diocesi nelle 33 province di Cina.
Ante Jozic sostituisce l’arcivescovo Joseph Spiteri, che il 7 marzo 2018 era stato nominato nunzio apostolico in Libano da Papa Francesco. L’arcivescovo Spiteri era stato scelto a marzo 2013 come nunzio in Costa d’Avorio, per sostituire l’arcivescovo Ambrose Madtha, morto in un tragico incidente stradale. Il nuovo nunzio risiederà ad Abidjan.
Un nunzio di prima nomina per lo Zambia
La prima destinazione da "ambasciatore" del Papa per monsignor Gianfranco Gallone è quella nella nunziatura dello Zambia. Prende il posto dell'arcivescovo Julio Murat, che era stato destinato il 24 marzo all'incarico di nunzio apostolico in Camerun.
Classe 1963, pugliese, monsignor Gallone è entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede il 19 giugno 2000, ha prestato la propria opera presso le Nunziature Apostoliche in Mozambico, Israele, Slovacchia, India, Svezia e nella Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Conosce lo spagnolo, l’inglese, il portoghese e lo slovacco.
Zambia e Santa Sede hanno rapporti diplomatici dal 1965.
L’inizio dell’anno diplomatico alla Commissione Europea
Il nunzio apostolico è, per tradizione, decano del Corpo Diplomatico. E non fa eccezione l’Unione Europea, presso cui è nunzio l’arcivescovo Alain Paul Lebeaupin. In qualità di decano, è spettato dunque al nunzio leggere gli auguri all’inizio dell’anno, in una cerimonia che si è tenuta il 29 gennaio.
Nel suo discorso, l’arcivescovo ha sottolineato che la presenza degli ambasciatori “testimonia l’interesse che la comunità internazionale ha verso il continente europeo”, e in particolare a quello che rappresenta l’Unione Europea nel concerto delle nazioni, perché “l’Unione Europea è una realtà internazionale speciale a tutti gli effetti”.
Il senso della presenza del corpo diplomatico, ha aggiunto l’arcivescovo Lebeaupin, è dato proprio dai valori dell’Unione Europea, e in particolare dal valore della democrazia, dei diritti della persona umana e di una società più giusta.
Rivolgendosi ai commissari, l’arcivescovo Lebeaupin ha poi messo in luce che il loro mandato “può terminare, ma non può fermarsi”, e che il corpo diplomatico è certo che loro vogliono continuare a far sì che l’Europa “resti un esempio invidiabile per tanti altri popoli del mondo”.