Città del Vaticano , giovedì, 24. gennaio, 2019 12:05 (ACI Stampa).
Papa Francesco vuole una rete che custodisca “una comunione di persone libere”, non una rete fatta per “intrappolare”. E la Chiesa stessa è una rete, dove l’unione “non si fonda sui like ma sulla verità, sull’Amen con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri”.
Il Papa lo scrive nel messaggio per la 53esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, pubblicato come di consueto nel giorno della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. Tema del messaggio è “Siamo membra gli uni degli altri. Dalle social network communities alla comunità umana”, e rappresenta un invito (l’ennesimo) ad usare la rete come luogo di incontro concreto, come strumento per sviluppare una comunità reale, basata sulla verità che si rivela solo nella comunione di persone. In pratica, il percorso per passare dalla cultura dei like a quella dell’Amen, che si ritrova, in fondo, già in molti passati messaggi delle Comunicazioni Sociali, perché da tempo anche internet è considerato un luogo da evangelizzare.
Papa Francesco riconosce che “la rete è una risorsa del nostro tempo”, ma nota anche i “rischi che minacciano la ricerca e la condivisione di una informazione autentica su scala globale”, perché “se internet rappresenta una possibilità straordinaria di accesso al sapere, è vero anche che si è rivelato come uno dei luoghi più esposti alla disinformazione e alla distorsione consapevole e mirata dei fatti e delle relazioni interpersonali, che spesso assumono la forma del discredito”.
È questo, in fondo, il tema delle fake news, oggetto del messaggio dello scorso anno, ma anche quello del “terrorismo delle chiacchiere”, caro a Papa Francesco.
Perché questo succede? La metafora della “rete”, applicata ad internet, richiama quello di comunità, ma “è a tutti evidente come la social network community non sia sinonimo di comunità”, al massimo creano “aggregati di individui che si riconoscono intorno a interessi o argomenti caratterizzati da legami deboli”, con identità che si definiscono a “partire da ciò che divide da ciò che unisce” dando spazio “al sospetto e allo sfogo di ogni tipo di pregiudizio”.