Leopardi, poi, dopo essere stato relegato a lungo in un polveroso vano della memoria scolastica, ha riacquistato fascino e interesse, soprattutto per i più giovani, pur smaliziati e poco avvezzi alla lettura, figuriamoci a quella di poesia. Ma il miracolo avviene.
E' facile ipotizzare, quindi, che questo avvenimento rinnoverà la passione leopardiana, anche perché per un anno intero sono previste mostre, conferenze, spettacoli, pubblicazioni e tutto ruotera' intorno alla città di Recanati e, in particolare, a Villa Colloredo Mels,
dove sarà esposto il prezioso manoscritto con il testo dell'infinito. Abbiamo già sperimentato, e raccontato, l'emozione che si riesce a provare davanti a quel foglio scurito dal tempo, ricoperto dalla fitta e leggera grafia, dall'incipit immortale "Sempre caro mi fu quest'ermo colle..." tra cancellature, parole aggiunte, paure tra un verso e l'altro...un'emozione da riprovare, proprio nella città in cui Leopardi è nato, cresciuto, ha sofferto, è fuggito ma che in fondo non ha mai abbandonato dentro di sé.
La poesia ha grande familiarità con la preghiera. Basterebbe ricordare che il Cantico delle creature di san Francesco d'Assisi è il primo e più noto esempio di versi scritti in italiano ed è contemporaneamente una potente preghiera di lode rivolta al Signore della vita. Proprio da questa preghiera, in sostanza, parte la lunga cavalcata nel tempo e nella storia al ritmo del canto poetico che viene compiuta in un libro pubblicato qualche tempo fa ma che vogliamo qui riproporre. Si tratta dell'antologia "Mille anni di poesia religiosa italiana", a cura di Daniela Marcheschi, pubblicata dalle Edizioni Dehoniane. Un viaggio lungo mille anni, da San Francesco a Jacopone da Todi, da Dante e Petrarca a Savonarola, Tasso e Campanella, da Clemente Rebora a Ungaretti, da Enrico Pea a David Maria Turoldo.
Includendo autori meno letti e studiati, nomi sorprendenti tra i quali quelli di molte donne, come Vittoria Colonna, Isabella di Morra, fino a Cristina Campo, Assunta Finiguerra, Margherita Rimi, tra le altre. E torniamo allo spunto di riflessione cui abbiamo accennato: poesia e preghiera, la loro vicinanza, la loro affinità, ma anche il pregiudizio, o il marchio di non -poetico, pronunciato da molti critici e studiosi, che equivale piu' o meno ad una censura, su quei versi che invece sono permeati di spirito religioso, ed esprimono nel tono, più alto, l'invocazione a Dio, la mano tesa, sul filo di splendide parole, dalla creatura verso il Creatore.
Scindere questa invocazione profonda dall'atto di "poetare", di fare concretamente in modo che l'invisibile diventi visibile grazie al potere delle parole, quando è così visibile, quando si manifesta in mondo tanto naturale, equivale al tentativo di snaturare l'origine stessa della poesia. Non vogliamo certo asserire che tutta la poesia abbia una religiosa evidente, ma perché bollare come non poesia quella che manifesta il suo rapporto con Dio, la sua invocazione al Mistero?
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In fondo, anche l'invocazione leopardiana all'infinito contiene questo slancio dell'animo, anche se non sorretto da una fede riconosciuta ed accettata.
Il libro in questione dimostra ampiamente questa realtà e permette di ritrovare, o di scoprire, autori un po' perduti nella nebbia dei secoli. O di riscoprirli in nuove vesti. Citiamo alcuni versi di una poesia preghiera, o preghiera poesia, di fra Girolamo Savonarola, non più "frequentato" dai tempi del liceo e certo catalogato fra i personaggi rigidi, severi e un po' noiosi di un Cinquecento turbolento , fin troppo ricco di date e di nomi da ricordare. ..proprio il Savonarola ha scritto questi versi che tanto ci hanno colpito e che sono così adattabili alla nostra quotidianità:"Onnipotente Idio, /Tu sai quel che bisogna al mio lavoro/ E qual è il mio desio:/Io non ti chiedo né scettro né tesoro/Come quel cieco avaro/Ne' che città o castel per me si strua;/Ma sol, Signor mio caro,/ Vulnera cor meum charitàte tua".