Samir Salah, l’ingegnere civile che sta lavorando sul progetto di ristrutturazione, spiega che “c’è bisogno di ristrutturare la scuola perché serve una vasta area, in cui ci sono anche molti rifugiati: circa 30 ragazzi che frequentano la scuola sono rifugiati, e c’è in più una grande congestione di studenti, un grande numero di studenti nelle classi. Ma la scuola non è stata mantenuta bene, c’è bisogno di risistemare tutto”.
Sempre nei dintorni di Amman, c’è la città di Zarqa. Anche questa, sorge in mezzo al deserto. Ma è una città particolare. Era un campo profughi di rifugiati palestinesi, arrivati durante la prima intifada, ed è oggi la terza città della Giordania.
Oggi, la città è anche meta di rifugiati provenienti dalla Siria. Come Manal, che è giordana di origine e si era sposata con un siriano. Ha resistito in città per un po’, dopo, quando ci sono stati troppi bombardamenti, ha portato i suoi bambini in Giordania, e il marito la ha potuta raggiungere solo due anni dopo.
“Voglio – racconta – che i miei bambini studino, per questo li ho subito iscritti a scuola. Una delle mie figlie ha perso un anno di scuola, l’altra ha sofferto di traumi a causa della guerra, e quindi ha perso qualcosa di più”.
In Giordania, il progetto Back to the Future collabora con due centri educativi e sei scuole pubbliche, e l’obiettivo finale è quello di includere 2700 bambini nelle attività di recupero e di aiuto nei compiti.
Un fattore decisivo è la volontà del governo giordano di includere tutti i bambini arrivati nel sistema scolastico. I doppi turni non rappresentano educazione informale, ma semplicemente una necessità per permettere a tutti di andare a scuola.
Sami Issa al Salaita, del Ministero dell’Educazione giordano, spiega ad ACI Stampa che la Giordania “ha ricevuto 1,4 milioni di siriani, e 700 mila di loro sono stati registrati dall’Alto Commissariato ONU per i rifugiati. Quando è cominciata la crisi, abbiamo prima di tutto accettato i bambini siriani nelle nostre scuole, e ci sono ora 130 mila bambini iscritti nelle suole statali, e 15 mila nelle scuole gestite dalle ONG”.
Tutti i bambini siriani vengono accettati nelle scuole, per ordine del re. Ma ora l’emergenza riguarda soprattutto le strutture. “Il numero dei rifugiati siriani – spiega al Salafaita – è cresciuto e dunque le strutture non sono più sufficienti. Abbiamo aperto 204 scuole a doppio turno, e abbiamo il 50 per cento degli studenti in scuole a turno unico.
Nella città di Amman, una delle scuole a doppie turno è quella di Lubaba. È una delle scuole che il progetto Back to the Future sta aiutando a rinnovare, per rendere l’ambiente più accogliente.
I bambini si alternano in vari turni. Colpisce che tutti loro vogliono imparare l’inglese, per cercare un futuro. Lo dice Shaled, di 10 anni, lo dice Absalam, che ne ha 9. Sono arrivati con i genitori, hanno dovuto ricostruire una vita. Non hanno paura di guardare oltre.
“Il progetto Back to the Future – spiega ad ACI Stampa Andrea Matteo Fontana, responsabile dell’Unione Europea in Giordania – è importante perché è parte dei nostri sforzi per migliorare l’educazione e per portare avanti l’idea che non ci possa essere una generazione perduta.
In Giordania, Back to the Future opera in una situazione resa anche favorevole dallo straordinario impegno della Chiesa. La Giordania è territorio del Patriarcato Latino di Gerusalemme, e proprio all’interno del Patriarcato sono nati progetti per favorire l’occupazione dei rifugiati provenienti da Siria ed Iraq. Nel cortile della chiesa di San Giuseppe, c’è una pizzeria, gestita da rifugiati. Nei suoi locali, nove donne irachene rifugiate portano avanti il progetto Rafedin, una casa di alta moda.
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E poi ci sono le scuole del Patriarcato Latino, particolarmente importanti. Spiega padre Mansour, direttore generale delle scuole del Patriarcato Latino, che il lavoro fatto dalle scuole è anche quello di creare una convivenza. “I nostri studenti – racconta – vivono insieme, cristiani e musulmani, e dunque hanno la stessa storia, la stessa educazione, la stessa vita, le stesse difficoltà, e persino le stesse feste. Crescono insieme, e così imparano ad avere una buona relazione”.
È un fatto importantissimo, perché ricostruire la fiducia è il primo passo per ricostruire la possibilità per molti di tornare. Anche se, in fondo, c’è grande disillusione.
Manal, un’altra delle madri i cui bambini usufruiscono dell’aiuto, sostiene che “non importa se rimarremo qui o se torneremo in Siria. Io vorrei solo dare un futuro ai miei figli, sogno che le ragazze diventino dottori e i ragazzi piloti di aereo. E vogliono che studino l’inglese, perché l’inglese è importante”.
Sono anche queste le facce del conflitto. Che trovano in progetti come Back to the Future un sollievo e una speranza.