L’arcivescovo Crepaldi fa un’ampia disamina della questione dell’Islam, a partire dal fatto che, mentre in Europa si diffondono corsi per una maggiore comprensione dell’Islam, solo i musulmani in Egitto possono insegnare la lingua araba nelle scuole pubbliche, perché “il Corano è scritto in arabo e quindi questa è la lingua adoperata di Allah”, e sarebbe “una profanazione se ad insegnarla fosse un non credente”.
C’è un problema nel cuore dell’Europa – sottolinea l’arcivescovo – che riguarda i casi di poligamia, ma anche il fenomeno delle spose bambino, e persino la presenza di “no-go areas” islamiche nelle grandi metropoli, in luoghi dove la shari’a governa in un mondo che è parallelo al Paese di accoglienza.
Sono problemi concreti – denuncia il rapporto – che vanno al di là della questione del dialogo interreligioso, e sui quali “è fatto calare il silenzio, i maggiori media non se ne occupano, c’è l’ordine di non farli emergere alla superfice affinché l’opinione pubblica non conosca la realtà”, mentre “si vive nel mito di un islam moderato, di un islam europeo, senza darsi conto che nell’Islam ci sono alcuni elementi dottrinali che impediscono di diritto tutto ciò”.
Il problema è però occidentale, scrive ancora l’arcivescovo Crepaldi, perché le religioni sono considerate buone o cattive “a seconda che abbracci la versione liberale o quella giacobina della questione”, perdendo però di vista “l’idea di verità della ragione politica”, limitandosi al principio della libertà di religione che “ “non potrà mai essere il suo cavallo vincente verso l’islam, il quale nega di essere una religione come le altre e non chiede tolleranza nei propri confronti come non ne promette da parte sua”.
La questione è quella affrontata da Benedetto XVI nel famoso discorso di Ratisbona, ovvero l’unione tra ragione e fede, che non esiste nell’Islam, perché, scrive ancora Fontana, “per i musulmani il mondo non ha un ordine ontologico secondo verità, ma un ordine giuridico derivante dai decreti divini. La fede è religione, la religione è diritto, il diritto è comunità, la comunità occupa un territorio”.
È un tema che viene poco affrontato, mentre si parla molto di flussi migratori, accoglienza e dialogo interreligioso. Ma il tema, dice l’arcivescovo Crepaldi, è di stringente attualità, anche perché, secondo i dati, “tra qualche decennio la popolazione musulmana doppierà quella autoctona in alcuni Paesi europei e quando avverrà questo sorpasso quel Paese europeo non sarà più quel Paese europeo. Dall’altro continua l’insipienza del politicamente corretto e del gradevole al palato di un’Europa-bene che poco ha a che fare coi i suoi popoli. Oggi questa Europa si sta spaccando sulla questione delle immigrazioni, domani l’altro o forse già domani si spaccherà inevitabilmente sul problema dell’islam politico.
Nell’introduzione al rapporto, Stefano Fontana spiega che “non esiste politica che in qualche modo non esprima un volto di Dio, anche nel caso in cui essa debba esprimere un Dio senza volto”, e che l’Islam presenta effettivamente “un Dio senza volto, se per volto si intende la verità, la conformità alla propria essenza, la volontà in sintesi con l’intelletto”, perché “Dio non rivela qui la propria essenza di verità, ma emette dei decreti cui sottomettersi”.
Non solo: il concetto dell’Umma non riguarda solo i fedeli musulmani. È anche “un fatto territoriale”, che riguarda “contemporaneamente la religione, la società e la politica”.
Non è un caso che buona parte del dialogo, specialmente dal punto di vista politico, si basa sul concetto di “cittadinanza”, tema affrontato da tutte le istituzioni musulmane che cercano un ponte con l’Occidente – tra gli ultimi, ne ha parlato anche il Grande Imam di al Azhar, e questo era un tema alla base della conferenza della pace cui partecipò Papa Francesco al Cairo.
Il problema – sottolinea Lorenza Formicola nel rapporto - è che la società musulmana non ha una “vera distinzione o scissione tra ‘spirituale’ e ‘ temporale’, e il programma di qualsiasi movimento islamico ha sempre il carattere di voler rimpiazzare la repubblica laica con una repubblica islamica, come successe con il partito politico algerino FIS (Front Islamique du Salut), che conquistò l’82 per cento dei consensi, e come si legge chiaramente dalla Dichiarazione Islamica universale dei diritti dell’uomo, stilati nel 1981 dal Consiglio Islamico mondiale fondato e finanziato dall’Arabia Saudita, che – nota Formicola – ha come elemento fondamentale “la proclamazione e reiterata negazione della democrazia”. I membri del Consiglio hanno comunque avviato un dialogo con la Santa Sede, e sono stati anche in visita da Papa Francesco.
Un saggio di Giulio Meotti analizza invece “l’islamizzazione pacifica” dell’Europa, guardando in particolare alla Francia, che accoglie il maggior numero di musulmani in Europa insieme alla Germania e che ha visto una crescita vertiginosa delle moschee: erano un centinaio nel 1970, oggi sono più di 2450, con un ritmo di crescita “di quasi due nuove moschee a settimana da dieci anni a questa parte, secondo i numeri dell’Annuaire des mosquées de France”.
Colpisce che il rapporto citi l’arcivescovo di Strasburgo Luc Ravel, il quale ha detto chiaramente che “i musulmani sono ben consapevoli del fatto che la loro fertilità è tale che oggi lo chiamano […] la Grande Sostituzione, lo dicono in maniera molto pacata e positiva che un giorno tutto questo sarà nostro”. Colpisce perché proprio Strasburgo è stata vittima dell’ultimo attentato considerato di matrice islamica, in una Francia dove la radicalizzazione non avviene più in maniera sistematica, ma attraverso cellule isolate che si alimentano proprio nelle no-go areas.
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Il rapporto rischia, alla fine, di prendere una posizione impopolare, ma mostra un problema che, se non altro, va discusso. Va letto nell’ambito di un percorso: due anni fa, furono le migrazioni ad essere oggetto della case history, e l’Osservatorio Van Thuan mostrò una posizone controcorrente, andando a scandagliare persino l’ipotesi di una migrazione voluta per andare, appunto, a sostituire i popoli europei. L’anno successivo, fu la crisi di valori dell’Europa ad essere oggetto del rapporto. Ed è proprio in questa crisi di valori che rientra l’Islam politico. Se ne deve perlomeno parlare, per comprendere quale è la situazione. Ed è, in fondo, tema di dottrina sociale.