Per il Cardinale Bagnasco, “il patrimonio culturale è la solidificazione di un umanesimo”. Oggi, però, sebbene si moltiplichino i viaggi, “non si entra in dialogo con ciò che si incontra”, e invece il Patrimonio culturale è “una realtà dinamica, che vuole parlare e possiede una vera capacità generativa”.
Gli itinerari mostrano – rimarca l’arcivescovo di Genova – “una traccia ben visibile” data dal messaggio del Vangelo, perché “nella varietà degli itinerari si rivela la pluriformità della cultura europea, ma anche la sua profonda unità, attestata dal fatto che le diverse culture che la compongono da sempre si parlano le une le altre”.
Da parte sua, monsignor Paolo Rudelli, Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, ha messo in luce come “nella sua presenza quasi cinquantenaria al Consiglio d’Europa, la Santa Sede ha visto il settore delle politiche culturali come un campo privilegiato della propria collaborazione”, convinti “che il processo di integrazione europea trovi un luogo essenziale di realizzazione nel dialogo, nella sinfonia dire, tra le diverse culture che costituiscono l’identità dei nostri popoli”.
La tavola rotonda ha visto interventi di Meglena Kuneva, Capo della Delegazione Europea presso il Consiglio d’Europa, e di Stefano Dominioni, segretario esecutivo dell’Accordo Parziale sugli Accordi Culturali del Consiglio d’Europa, che ha messo in luce come l’Europa abbia “33 itinerari certificati, in più di cinquanta nazioni”.
Tra questi, il cammino di Santiago. L’arcivescovo Julian Barrio Barrio, di Santiago di Compostela, ha sottolineato che “non è possibile pensare all’Europa senza tener conto del profondo scambio generato dal pellegrinaggio giacobeo e dal suo cammino”.
In fondo – ha detto – “scoprire Santiago e il suo Cammino significa incontrare le origini dell’Europa”. Anche oggi, “in una società ferita dallo gnosticismo, il Cammino riscopre la natura ed il pellegrino si trova in sintonia con il creato”, ha detto l’arcivescovo di Santiago. Ma non solo. Il cammino “indica che l’Europa, continuando la sua storia, deve ritornare alle sue radici cristiane ed accettare valori permanenti dell’uomo per intraprendere nuove azioni”. Il Cammino è dunque un percorso che i pellegrini “fanno per memorizzare le tradizioni apostoliche prima che siano dimenticate le radici cristiane”, non per “creare una Europa parallela a quella esistente”, ma piuttosto per “mostrare a questa Europa che la sua anima e la sua identità sono profondamente radicate nel cristianesimo”.
Altro cammino europeo, forse meno conosciuto, è quello di Sant’Olav, che morì il 29 luglio 1030 in una battaglia e fu sepolto vicino alla cattedrale di Trondheim, in un luogo da dove sorse subito un pozzo e dove praticamente subito i pellegrini andarono. Sant’Olav era un guerriero, che combatteva per la corona – ha detto il reverendo Raghnild Jepsen, decano della Cattedrale di Nidaros – e per il potere politico, e fu subito chiaro che Olav non fu santo per il modo in cui visse, ma per il modo in cui morì.
Il Reverendo Jepsen ha dunque ricordato che “la cattedrale di Trondheim è oggi un simbolo nazionale e un santuario”, cattolica dal 1513 al 1537 e ora Protestante, meta di pellegrinaggi attraverso un percorso da Oslo a Trondheim che è stato riaperto nel 1997. Per arrivare a Nidaros, luogo di sepoltura di Sant’Olav, ci sono 5000 chilometri di percorsi tra Norvegia, Svezia e Danimarca, tutti riconosciuti come Itinerario Culturale Europeo nel 2010.
La conferenza ha messo anche in luce, con la relazione di Roman Bogacz, dell’Università Pontificia Giovanni Paolo II, anche l’importanza di Cracovia come meta di pellegrinaggi. Cracovia era detta la Roma del Nord perché in nessuna altra parte del mondo, se non a Roma, ci sono così tante tombe di santi e beati, così come ci sono vari tipi di celebrazioni tradizionali e processioni liturgiche, mentre il Santuario della Divina Misericordia è appena fuori città, ad appena un chilometro dal santuario dediato a San Giovanni Paolo II. Anche lì, c’è un mondo tutto da scoprire, come la tradizionale processione dal Wavel a Stalka, a maggio, per commemorare il martirio di San Stanislao.
Durante tutta la conferenza, si è sottolineata la differenza tra viaggiatori e pellegrini, tra i turisti e quanti davvero vogliono fare una esperienza spirituale. Certo, ha detto Stefan Lunte della COMECE (Commissione delle Conferenze Episcopali di Europa) ci sono state 28 mila persone che, in questo 2018 Anno dell’Eredità Culturale Europea, hanno viaggiato e visto musei, partecipato a concerti, visitato monumenti. E questo dimostra che gli europei non vogliono essere considerati solo attori economici.
Ma la dimensione del pellegrinaggio è cruciale. Don Michele Falabretti, responsabile del Servizio Nazionale della Pastorale Giovanile della Conferenza Episcopale Italiana, ha ricordato la straordinaria esperienza del pellegrinaggio dei giovani, che ha portato all’incontro del Papa con i giovani al Circo Massimo l’11 agosto.
All’incontro, hanno partecipato 70 mila giovani, e si stima – ha detto don Falabretti – che “circa 30 mila abbiano partecipato a circa 90 itinerari organizzati nei diversi territori italiani durane i giorni precedenti”. Itinerari organizzati dalle diocesi, che hanno “messo insieme figure di santi con la storia stessa d’Italia”: dai luoghi della Prima Guerra Mondiale percorsi dalle diocesi di Gorizia, Udine e Trieste fino alla Basilica di Aquileia, dalla Serra di San Bruno ai luoghi di San Francesco di Paola da Agrigento a Palermo come Santa Rosalia attraverso i Paesi della Magna Grecia, tutto ha contribuito a fare comunità, e a creare una consapevolezza comune.
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Don Falabretti non dimentica, però, nel suo intervento “tutti coloro che stanno affrontando viaggi terribili per scappare dalla morte e dal dolore”, con “viaggi coatti, al limite della deportazione” vissuti da “una intera umanità in cammino”.
In fondo, ha detto, “ci sono due umanità in viaggio, la prima per evasione dal mondo in cui vive, la seconda in fuga da ciò che la terrorizza”.
Questa seconda umanità ha partecipato anche agli itinerari che hanno preceduto l’incontro al Circo Massimo. E così – ha concluso don Falabretti – “tutto si è trasformato anche in un’esperienza di integrazione fra persone di culture e religioni diverse. Fra gli stessi giovani cristiani, non tutti avevano lo stesso livello di coinvolgimento nell’esperienza di fede cristiana e di chiesa, ma sicuramente il cammino ha contribuito a creare legami nuovi”.