Si è sviluppata una collaborazione con la Croce Rossa, l’unica autorizzata ad arrivare nelle zone delle autoproclamate repubbliche, che sono zone rosse. È una novità assoluta, perché in genere ci si arrocca un po’ dietro l’appartenenza. E la Santa Sede ha voluto collaborare per fare arrivare gli aiuti anche lì dove altre sigle non possono arrivare. Questo a testimonianza che il Papa guarda ai poveri, non alla bandiera che porta ciascuno. I poveri sono stati la vera bandiera di questa azione! Nel dramma si è trattato di un progetto molto significativo e bello.
Ora, l’esperienza dell’iniziativa del Papa per l’Ucraina è terminata?
La fase emergenziale si sta chiudendo, la maggior parte dei progetti è terminata, mentre altri continueranno un po’ di più fino alla naturale conclusione. Sarebbe bello poter contribuire, quando sarà il momento, anche alla fase di ricostruzione. Ma vediamo ciò che sarà possibile fare e, soprattutto, ciò che deciderà il Papa. Sono stati portati molti aiuti.
Qualche cifra?
Intanto consideriamo che i beneficiari sono stati circa 900 mila. Poi c’è da dire che sono 200 mila le persone che vivono vicino al fronte, tra cui anche donne incinta, mentre 19 mila bambini sono a 5 chilometri dal fronte. Gli sfollati sono 1 milione 300 mila, mentre c’è una media di 40 conflitti al giorno sulla linea del fronte.
E come sono stati distribuiti gli aiuti?
In generale, sono state affrontate le emergenze, soprattutto nelle zone di Kharkiv, Dnipropetrovsk, Kiev e la zona metropolitana di Kiev, che è quella interessata dall’arrivo degli sfollati. I progetti sono stati prima di tutto dedicati alla risposta dell’emergenza inverno – in Ucraina si arriva anche a -25 gradi centigradi -, cui sono stati destinati 6,7 milioni di aiuti che hanno raggiunto 107 mila persone. Quindi, si è lavorato sulle infrastrutture mediche, riparate con aiuti di 2,4 milioni di euro. Una somma di 5,7 milioni di euro è stata allocata per distribuire cibo e vestiti e migliorare le condizioni igieniche, e ne hanno beneficiato più di 319 mila persone. Infine, c’è il supporto psicologico, fondamentale in tempo di conflitto, e destinato ai bambini vittime di crisi, ma anche alle ragazze madri e vittime di stupro. Per questa voce, è stato destinato più di 1 milione di euro, e i servizi hanno raggiunto circa 15 mila persone.
Quale tra questi progetti è quello che secondo lei ha avuto più impatto?
Sicuramente il superamento dell’emergenza inverno. Sono state costruite 2225 stufe, alimentate a carbone, tutte con l’immagine del Progetto “Papa per l’Ucraina” sopra. Significa che 2225 famiglie hanno potuto avere la casa riscaldata. E poi, è stato distribuito molto cibo, molti vestiti.
Durante i vostri giorni in Ucraina, quanti progetti avete visitato?
Abbiamo potuto visitare cinque progetti, uno a Kiev e gli altri sulla linea di Donetsk: una mensa per i poveri delle suore di Madre Teresa; un centro per la riabilitazione di bambini affetti da disturbi post-traumatici; un reparto per “grandi ustionati” ricostruito con i fondi del Progetto presso l’ospedale di Kramatorsk; una casa per ragazze madri; un centro per poveri e senzatetto della Cattedrale di Kharkiv. Oltre la linea di Donetsk, si può andare solo con un permesso speciale. Alcuni progetti sono terminati, come la consegna delle stufe, poiché si trattava di costruire materialmente delle cose. I progetti di sussidio psicologico, il sostegno alle ragazze madri, hanno una sostenibilità più a lungo termine.
Spesso, nei Paesi del blocco ex sovietico è difficile andare oltre la mentalità assistenzialista: si attendono aiuti, ma in pochi vogliono costruirsi il futuro. Come superate questa impasse?
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Ci sono dei progetti che puntano al reinserimento. Per esempio, le ragazze madri sono aiutate a tornare in società, a vivere la loro vita, alcune di loro hanno anche trovato un marito e costruito una famiglia. I progetti sono fatti anche per responsabilizzare i poveri. I senzatetto che vanno al centro della Cattedrale di Kharkiv, che è coordinato da Caritas e Depaul International, per esempio, non vanno solo a prendere il cibo o medicinali, ma vengono responsabilizzati alla cura della casa.
Quali sono le condizioni di vita che avete trovato?
Rimangono, come evidente, le difficoltà. Abbiamo visto quanto accaduto in queste ore nello Stretto di Kerch. E questo stato di tensione costante lo si avverte in particolare nei piccoli centri delle aree orientali che abbiamo visitato. Nelle grandi città c’è una situazione più tranquilla. Le problematiche sociali sono un po’ quelle che si vivono in tante parti d’Europa, anche se certamente amplificate dalla crisi: un’economia statica, difficoltà per i giovani di trovare lavoro, povertà. Si pensi, per esempio, che lo stipendio medio è l’equivalente di 150 – 200 euro, mentre il costo della vita sale, anche a causa delle spese per il conflitto. Noi però abbiamo trovato tante persone impegnate, tante realtà organizzative che funzionano nonostante il momento, che lavorano con e per la speranza, che hanno voglia di guardare al futuro e ripartire. E gli organismi e le strutture della Chiesa stanno cercando nel loro ambito di dare una mano.