Roma , domenica, 18. novembre, 2018 15:00 (ACI Stampa).
"Questo povero me": così si firmava spesso san Leopoldo Mandic, il piccolo frate cappuccino con un carisma particolare per la confessione. Una infinita umiltà coniugata con una infinita misericordia, questa la straordinaria eredità che risplende nelle lettere e negli scritti, non moltissimi, lasciati dal santo e che viene puntualmente rievocata nelle biografie della sua vita, moltiplicatesi negli anni, dopo la sua morte, avvenuta nel 1942.
Scritti e biografie che sarebbe quanto mai opportuno leggere proprio in questi giorni. E' stato infatti confermato il via libera, da parte della Cei, al conferimento di titolo di "patrono dei malati oncologici" a san Leopoldo. Diventerà il protettore dei malati di tumori, che potranno affidarsi totalmente all'intercessione del piccolo, grande frate, beatificato nel 1976 da Paolo VI e canonizzato da Giovanni Paolo II nell'83, di cui Papa Francesco volle esporre la salma insieme a quella di Padre Pio in Vaticano durante il Giubileo della Misericordia nel 2016, adesso scelto dai vescovi italiani come santo protettore di tutti coloro che soffrono a causa di un cancro. Del resto lui stesso fu malato di un tumore all'esofago, che lo portò alla morte nel 1942.
Se si va in visita al santuario di Santa Croce a Padova, dove visse e morì, dove si conservano le sue spoglie e che è diventano autentico centro della devozione al santo, si capiscono molte cose. Si comprende, prima di tutto, come il desiderio di una moltitudine di suoi fedeli, espresso negli ultimi mesi da una petizione popolare per chiedere appunto che padre Leopoldo diventasse patrono, sia concreto e sostenuto da una profonda fede. Un'intera vasta sala è ricoperta dagli ex voto di persone che hanno recuperato la salute, e a volte la vita stessa, riconoscendo che questo sia avvenuto proprio per intercessione di padre Leopoldo. E quella stessa misericordia che il piccolo, esile fraticello mostrava alle migliaia di penitenti in fila per ore per confessarsi, era riversata sui malati e i sofferenti.
Le biografie ufficiali del santo rivelano che il frate correva subito al capezzale di chi invocava, con il permesso dei superiori, e che persone che non avrebbero mai permesso a un sacerdote di avvicinarsi al proprio letto, appena vedevano il padre si commuovevano e decidevano di confessarsi.
E' stato definito medico delle anime. E questa sua capacita' di penetrare nel cuore degli uomini era piu' che evidente a chi si è accostato alla sua vita e alle sue riflessioni. Nel 1966 il professor Enrico Rubaltelli, noto medico di Padova e penitente del santo, ha scritto una breve biografia del suo confessore, con un sottotitolo significativo:" Un grande clinico dell'anima nella città dei sommi clinici". E scriveva: "Padre Leopoldo ebbe quello che i medici chiamano l'occhio clinico", ossia sapeva vedere in fondo ad ogni anima, sapeva individuarne i dolori e le ferite, sapeva trovare i rimedi per curarla. E come scrive monsignor Pietro Brazzale nel suo libro intitolato proprio "Questo povero me. Vivi incontri con San Leopoldo Mandic", nelle lettere del santo la sua caratteristica di sapiente medico delle anime emerge con particolare chiarezza. Di fronte a dolori, problemi, difficoltà, le sue parole diventano commento ai testi sacri " presentati con immediatezza, come l'argomento più solido che da' peso alle sue espressioni di consolazione", spiega l'autore.