Si trattava in primo luogo di un incontro tra i vescovi e il loro Capo, il Pietro dei nostri giorni. Papa Francesco non ha voluto imporre argomenti. Ha piuttosto aperto una discussione, lasciando libero ognuno di dire quello che pensava, facendo domande o offrendo contributi.
E di cosa avete parlato?
Abbiamo parlato della situazione pastorale della Croazia, e in particolare delle famigli e dei giovani. Sono stati questi due i temi maggiormente al centro dell’incontro. Papa Francesco ha in particolare sottolineato l’importanza di stabilire un catecumenato per i futuri sposi. È una sottolineatura che mi ha fatto piacere, perché il matrimonio è la preparazione della vita, e si deve fare una preparazione non solo intellettuale, ma su tutti gli aspetti della formazione.
Quale è la situazione pastorale in generale?
A settembre abbiamo avuto un incontro nazionale delle famiglie di tutta la Croazia, al termine di un itinerario di tre anni. Anche la famiglia soffre della secolarizzazione, sebbene non in modo radicale. Ma, ad esempio, si può notare che i divorzi crescono. Nonostante questo, i giovani considerano ancora la famiglia un valore umano molto importante. È qui che la Chiesa deve sviluppare maggiormente il suo impegno. I giovani devono essere preparati al matrimonio non solo con un corso di sei mesi o un anno prima della celebrazione delle nozze, ma con un percorso di discernimento vocazionale.
Recentemente, l’arcivescovo Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, è stato in visita in Croazia. Quale è stato il tema della visita?
L’arcivescovo Gallagher ci ha fatto visita per celebrare i venti anni della firma degli accordi tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia. Si tratta di quattro accordi – su questioni giuridiche, educazione e cultura, ordinariato militare e questioni economiche -, che sono stati firmati tra il 1996 e il 1998. In una lectio che ha tenuto nell’Università Cattolica di Zagabria, l’arcivescovo Gallagher ha parlato dell’importanza degli accordi, che non rappresentano la concessione di privilegi, ma regolano piuttosto le competenze e la collaborazione di Chiesa e Stato nelle loro reciproche autonomie. L’arcivescovo Gallagher ha anche incontrato le autorità politiche, ed è stato nella città di Đakovo, dove ha celebrato Messa in occasione del decimo anniversario della istituzione della provincia ecclesiastica di Đakovo-Osijek, nella Croazia orientale. Lo scorso anno, anche il Cardinale Parolin ci è venuto a fare visita a Zagabria. Manca solo la visita di Papa Francesco, che aspettiamo sempre.
In generale, quale è la situazione della Chiesa di Zagabria?
La Chiesa di Zagabria, come la Chiesa di Croazia, vive quelle sfide che oggi vivono anche altri Paesi di Europa. Ma dobbiamo essere grati dei frutti che si vedono tra la gente. In modo particolare, sottolineo il lavoro che viene fatto con i giovani. A inizio settembre ho guidato un pellegrinaggio di giovani dalla Città di Zagabria al Santuario Nazionale di Maria Bistrica: hanno partecipato circa 30 mila pellegrini, e tra questi 3 mila giovani, guidati dall’ufficio diocesano per la gioventù.
Quali sono le altre iniziative?
Ci sono tante iniziative che hanno grande risposta da parte delle persone. Il 10 febbraio del 2018 abbiamo concluso il Sinodo diocesano, la cui prima sessione si era tenuta l’8 dicembre 2016. Erano anni che non si faceva il Sinodo, dato che durante il comunismo era difficilissimo celebrarne uno. Questo Sinodo ha mostrato che c’è grande aspettativa e apertura nei confronti della Chiesa. In modo speciale, devo sottolineare l’impegno dei laici, il loro entusiasmo anche nel seguire le catechesi.
Come vanno le vocazioni?
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A settembre, sono entrati nella provincia ecclesiastica del seminario maggiore 34 ragazzi, dopo un percorso di discernimento durato due anni. Si può dire che negli ultimi anni c’è stata una piccola, leggera crescita nella vocazione al sacerdozio.
Quanto sono presenti le ferite del comunismo?
Sono presenti soprattutto nella seconda generazione, una generazione diversa rispetto a quella uscita dal comunismo. Sono meno ideologizzati dal punto di vista generazionale, ma proprio per questo sono più inclini alla secolarizzazione, perché hanno vissuto nella società di ideologia comunista. La generazione che viveva nei tempi del comunismo veniva invece da un ambiente cristiano cattolico, e aveva ricevuto una formazione all’interno delle famiglie.
E le ferite del conflitto più recente come sono presenti?
Dipende dalla zona della Croazia in cui le persone vivevano. C’erano coloro che erano alla frontiera della Serbia, e hanno davvero vissuto la guerra sulla loro pelle, perdendo famigliari. Loro sono quelli più colpiti. Mentre in molti hanno vissuto il conflitto indirettamente, magari per l’arrivo di profughi nelle loro terre. Ma per loro è più facile dimenticare del conflitto.