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Diplomazia Pontificia, 100 anni dalla Grande Guerra, 130 anni di Chiesa in Mali

Papa Francesco e Henrietta H. Fore | Henrietta H. Fore, direttore esecutivo dell'UNICEF, in udienza da Papa Francesco il 15 novembre 2018 | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco e Henrietta H. Fore | Henrietta H. Fore, direttore esecutivo dell'UNICEF, in udienza da Papa Francesco il 15 novembre 2018 | Vatican Media / ACI Group

La celebrazione dei 130 anni della Chiesa in Mali si colora di significati diplomatici, perché Papa Francesco ha deciso di inviare come suo legato il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. Nella settimana, sono state diverse le celebrazioni dei 100 anni dalla fine della Grande Guerra, che per molti Stati di Europa ha rappresentato anche l’inizio dell’indipendenza. Se ne è parlato in un convegno organizzato dalla Ambasciata di Polonia presso la Santa Sede.

Tra gli incontri di Papa Francesco nella settimana, quello con il presidente israeliano Rivlin, il secondo in tre anni, che ha toccato i temi della pace e anche la questione di Gerusalemme; e quello con il direttore esecutivo dell’UNICEF, sempre il 15 novembre.

Papa Francesco incontra il direttore dell’UNICEF

Il direttore esecutivo dell’UNICEF, Henrietta Fore, ha incontrato Papa Francesco nella mattinata del 15 novembre. Secondo lo stesso direttore generale, Papa Francesco e Fore hanno “condiviso un forte impegno nel proteggere i bambini e i giovani sradicati dalle loro famiglie da conflitti violenti e altre crisi”.

Fore ha anche sottolineato che la partnership tra UNICEF e Caritas Internationalis dura ormai da 10 anni. UNICEF supporta anche il progetto Scholas Occurrentes, la fondazione di diritto pontificio promossa da Papa Francesco che elabora progetti di educazione attraverso l’arte in tutto il mondo.

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Il Cardinale Pietro Parolin in Mali

Il Mali è una delle nazioni più povere del mondo, e la sua piccola comunità cattolica – appena 200 mila unità – è stata oggetto di vari attacchi da parte di forze jihadiste alla fine del 2017.

Assume così un peso particolare la decisione di Papa Francesco di inviare il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, in Mali come suo legato Pontificio per la celebrazione del 130esimo anniversario della costituzione della Chiesa locale.

Le celebrazioni hanno luogo il 17 e 18 novembre al santuario mariano di Kita, dove si svolge un pellegrinaggio che ha luogo ormai da 47 anni.

Secondo il rapporto sulla libertà religiosa di Open Doors, il Mali è il 32esimo Paese al mondo in cui è più difficile vivere da cristiani. A fine dicembre 2017, una forza internazionale in Mali, formata da 5 mila uomini.

Il Cardinale Parolin è arrivato in Mali il 16 novembre. Tra le ricorrenze da festeggiare, anche il trentesimo anniversario dell’ordinazione episcopale del Cardinale Jean Zerbo, il primo cardinale proveniente dal Mali, cui Papa Francesco impose la berretta rossa nel concistoro del 28 giugno 2017.

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Il Cardinale Parolin è stato ricevuto il 16 novembre a Bamako da Ibrahim Boubacar Keita, presidente della Repubblica. Secondo le cronache locali, il Segretario di Stato vaticano ha sottolineato il buon momento dei rapporti diplomatici tra Santa Sede e Mali, e in particolare “la buona relazione tra Chiesa e Stato”. Il Cardinale Parolin ha anche fatto un invito ai giovani “ad impegnarsi e contribuire alla costruzione del Paese. Parolin aveva incontrato il presidente del Mali lo scorso 11 novembre a Parigi, nella cornice del centenario dell’armistizio che mise fine alla Prima Guerra Mondiale.

Il Mali ha popolazione al 94 per cento musulmana, mentre la Chiesa Cattolica comincia la sua presenza sul posto tra il 1876 e il 1881, grazie ai missionari inviati a Timbuctù dal Cardinale Charles-Martial Allemand Lavigerie (1825 – 1892), e poi grazie ai missionari spiritani arrivati dal Senegal. La prima parrocchia è fondata nel 1888, mentre l’evangelizzazione del Paese si estende con i Padri Bianchi. Parte del vicariato apostolico del Sahara, nel 1942 viene creato il vicariato apostolico di Goa. Nel 1990, Giovanni Paolo II ha visitato la Chiesa cattolica del Mali.

Arcivescovo Gallagher e la posizione della Santa Sede sui movimenti independentisti post Prima Guerra Mondiale

Nel 100esimo anniversario della ricostituzione dello Stato Polacco, che era stato smembrato e cancellato dalla carta geografica, l’ambasciata di Polonia presso la Santa Sede ha organizzato una conferenza internazionale su “1918, l’anno dell’indipendenza”.

La conferenza non ha solo parlato dell’indipendenza polacca, ma ha anche raccontato, con relazioni degli ambasciatori della Santa Sede di Lituania, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, e anche con una relazione sul movimento indipendentista di Irlanda, tenuta da monsignor Joseph Murphy, capo del protocollo della Segreteria di Stato vaticana.

L’incontro è stato aperto da un discorso dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, che ha parlato della posizione della Santa Sede riguardo i movimenti indipendentisti.

L’arcivescovo Gallagher ha messo in luce lo scenario in cui avviene la Prima Guerra Mondiale, focalizzandosi in particolare sull’attività di Benedetto XV, eletto Papa appena tre mesi dopo lo scoppio della guerra, che “si è dedicato senza frutto a cercare di interrompere la guerra che aveva definito inutile strage”, ha visto “come causa della guerra una cultura del positivismo”, e ha messo in luce nell’esortazione ai popoli in guerra la necessità di ritrovare una strada per la autonomia delle nazioni, evitando di tramandare una cultura di odio e di vendetta.

Ha detto l’arcivescovo Gallagher: “L’1 dicembre 1918, tre settimane dopo l’armistizio, il Papa ha chiesto a tutti i cattolici di pregare per la pace e pregare per coloro coinvolti nel negoziato, e ha chiesto il dono della vera pace fondata sui principi evangelici dell’equità”.

Era un Papa che aveva ben capto come la Chiesa “dovesse andare al di là dell’interesse dei singoli gruppi,” perché la missione della Chiesa poggia sull’imparzialità politica, e questo è un risultato di un processo continuo che ha portato all’auto imposizione dell’imparzialità politica.

“La Chiesa per missione deve sempre ricordare alle autorità pubbliche che ogni Stato ha un elemento trascendente, e deve riferirsi allo Stato come qualcosa che va al di là dei propri confini. Nessuno Stato può essere autosufficiente, nessuno stato deve procedere come società chiusa”, ha detto il ministro degli Esteri vaticano.

La Santa Sede – ha aggiunto – “era a favore di un giusto equilibrio di poteri, e ha mostrato solidarietà nei confronti delle richieste di indipendenza legittima delle nazioni”, e per questo Benedetto XV invitava i nunzi a “cercare relazioni amichevoli con gli Stati nati dal dissolvimento dei grandi imperi”.

Il Papa “non voleva svolgere un ruolo tra i movimenti indipendentisti, non voleva rischiare una manipolazione, e per questo aveva invitato i vescovi alla moderazione e alla neutralità, valutando caso per caso quale fosse il modus operandi migliore”.

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C’era un lavoro per “avere concordati con i nuovi Stati per garantire la libertà della Chiesa, non c’era il desiderio di farsi garante di questi nuovi Stati”. Negli anni Venti, la Santa Sede ha stretto una serie di rapporti con ben 8 Stati, e tra questi Lituania e Cecoslovacchia.

Per quanto riguarda la situazione polacca, il delegato apostolico nel Paese era Achille Ratti, che sarebbe poi diventato Papa Pio XI. Questi “ha accompagnato con solidarietà, ma anche con critiche, i primi passi della Repubblica polacca, chiedendo anche la coesistenza pacifica con i Paesi confinanti”.

In generale – ha concluso l’arcivescovo Gallagher – “i concordati e trattati firmati negli Anni Venti testimoniano il successo diplomatico della Chiesa, ma la diplomazia doveva tener conto del bisogno di gruppi specifici, e sempre c’era il pericolo per Roma di esprimere opinioni in maniera troppo decisa, rischiando di compromettere i negoziati e di esporsi alle critiche di ingerenza”. Da qui, la moderazione con cui la Chiesa si è espressa.

Panama, luogo di irradiazione del Vangelo, dice il sostituto alla Segreteria di Stato vaticana

Da sempre, Panama ha svolto un “ruolo importante per l’irradiazione del Vangelo”. Lo ha detto l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato vaticana, alla Messa per la festa nazionale del Paese, che si è celebrata lo scorso 12 novembre a San Lorenzo in Damaso.

Tutto nasce, ha ricordato l’arcivescovo Pena Parra, dalla prima sede episcopale sulla terraferma del continente americano, quella di Santa Maria La Antigua nel Darien, che è il territorio dell’attuale diocesi di Panama. È il 9 settembre 1953, e quella diocesi viene chiamata “ponte del mondo e cuore dell’universo”, e ha una identità – ha notato il sostituto – “forgiata nel crogiuolo della fede cristiana, grazie anche alla prodiga donazione di generazioni di uomini e donne che, con decisa perseveranza, hanno saputo testimoniare e trasmettere la fede”.

La storia della Chiesa del Paese “si intreccia con la storia del popolo panamense”, e ha per vocazione “quella di favorire la giustizia, promuovere il lavoro, salvaguardare la dignità dei cittadini e appoggiare lo spirito di partecipazione a tutti i livelli”.

Ora, per il sostituto, è tempo della sfida dell’evangelizzazione, consapevole che “il mondo contemporaneo esige una presenza più penetrante dei valori cristiani, che sappiano incidere a tutti i livelli della vita individuale e sociale”. Una sfida, tra l’altro, tanto più importante, da momento che Panama ospiterà dal 22 al 27 gennaio la Giornata Mondiale della Gioventù.

Il Cardinale Turkson in Ucraina, per valutare gli sviluppi dell’iniziativa “Papa per l’Ucraina”

Il Cardinale Peter Turkson, prefetto per il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, visita l’Ucraina dal 16 al 18 novembre, insieme al sottosegretario del dicastero, monsignor Segundo Tejado Munoz, per un “aggiornamento” sul lavoro svolto grazie all’iniziativa “Papa per l’Ucraina”. Lo ha annunciato una nota della nunziatura a Kiev.

La colletta straordinaria per l’Ucraina ha raccolto 16 milioni di euro, e la destinazione di questo denaro è stata affidata all’azione “Papa per l’Ucraina”, affidata alla vigilanza del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede.

Il programma della visita prevede incontri con rappresentanti delle autorità civili e del corpo diplomatico e con membri della Chiesa Greco Cattolica Ucraina e di rito latino, nonché con le organizzazioni internazionali e locali che hanno collaborato all’azione.

Tra i momenti forti della visita, una preghiera con i fedeli cattolici per la pace del Paese e una visita alla Mensa per persone bisognose dalle suore di Madre Teresa di Calcutta. Immancabile la visita di alcuni dei progetti finanziati nel corso dell’azione nella zona orientale del Paese.

Il Cardinale viene accompagnato dall’arcivescovo Claudio Gugerotti, nunzio apostolico in Ucraina, e dai vescovi Jan Sobilo, ausiliare di Kharkiv, ed Eduard Kawa, ausiliare di Lviv, i quali hanno diretto le due fasi in cui è svolta l’azione Papa per l’Ucraina. Nel seguito, anche monsignor Joseph Grech, primo segretario della nunziatura.

La Santa Sede all’ONU di New York, la situazione della Palestina

I lavori dell’agenzia ONU per i rifugiati di Palestina e del vicino Oriente (UNRWA) sono stati oggetto di un comitato all’interno della 73esima assemblea generale delle Nazioni Unite.

Durante l’incontro, l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha lodato l’UNRWA per aver fornito supporto essenziale per circa 5,6 milioni di rifugiati palestinesi registrati nel Medio Oriente. Tra questi aiuti, le case, l’educazione, la cura sanitaria e l’occupazione.

L’Osservatore della Santa Sede ha sottolineato che una UNRWA perfettamente funzionante è “il miglior modo di evitare che la situazione della regione peggiori”, ma ha anche messo in luce che l’agenzia sta vivendo una crisi di budget.

Con l’occasione, ha ribadito che la Santa Sede supporta una soluzione dei due Stati nella regione, e ha chiesto supporto politico e umanitario per difendere e portare avanti i diritti dei rifugiati palestinesi.

La Santa Sede a New York, cento anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale

Anche presso le Nazioni Unite di New York si è commemorato il centenario dalla fine della Prima Guerra Mondiale, con un concerto alla Camera del Consiglio Economico e Sociale che ha eseguito il Requiem e l’Ave Verum Corpus di Mozart e l’Adagio per corde di Barber. Il concerto è stato sponsorizzato dalla Missione Permanente della Santa Sede con l’Istituto Mountbatten.

Il concerto ha avuto luogo lo scorso 12 novembre. L’arcivescovo Auza ha ricordato che la Prima Guerra Mondiale ha causato 16 milioni di morti in maniera diretta e decine di milioni in più indirettamente, e che l’anniversario dell’armistizio è “per noi un’opportunità di apprendere dai tragici errori che hanno portato alla Grande Guerra, ma anche dagli errori che l’armistizio stesso ha provocato, creando le condizioni dei futuri conflitti”.

Santa Sede a New York, cosa si fa sulla migrazione?

L’arcivescovo Auza ha tenuto il 14 novembre un discorso su “Papa Francesco e la sfida globale delle migrazioni” al Centro McMillan per gli studi internazionali e di area.

L’arcivescovo Auza ha guardato indietro alla storia biblica delle migrazioni e messo in luce il numero di migrazioni del 2017 secondo i dati ONU. “La migrazione – ha detto – è un fenomeno umano e naturale”. Ha detto che è importante il diritto a rimanere e allo stesso modo c’è un diritto di migrare e che i diritti dei migranti devono essere rispettati nonostante il loro stato di migrazioni.

C’è bisogno “di un responso globale e di una responsabilità condivisa sul tema delle migrazioni”, ha sottolineato l’Osservatore Permanente, ricordando poi i quattro verbi che caratterizzano l’approccio della Santa Sede al fenomeno migratorio: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.

Il 16 novembre, l’arcivescovo Auza ha invece parlato al Manhattan College di “Responsabilità etiche e morali delle università in risposta alla realtà globale di migranti e rifugiati”. Il discorso era l’indirizzo iniziale per la Conferenza sulle Iniziative Globali sull’Educazione di migranti e Rifugiati, sponsorizzato dal Manhattan College, dalla Pontificia Università Giovanni Paolo II di Cracovia, il centro per la comprensione religioa e l’organizzazione “Being in Blessing”.

Nel suo discorso, l’arcivescovo Auza ha sottolineato che, come dice Papa Francesco, le “Università Cattoliche hanno una particolare responsabilità di educare per servire” e ha chiesto alle università di aiutare ad alleviare la situazione di migranti e rifugiati con la ricerca, l’educazione e la promozione sociale”.

Cosa ha detto il nunzio Pierre all’assemblea generale della Conferenza Episcopale USA?

Dal 12 al 15 novembre si è tenuta a Baltimora l’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti. Durante l’assemblea, si sarebbero dovute votare nuove linee guida sulla risposta agli abusi più un nuovo panel formato in maggioranza da laici che sarebbe stato chiamato a vigilare sull’operato dei vescovi. Papa Francesco ha però chiesto ai vescovi degli Stati Uniti di aspettare almeno fino febbraio, quando ci sarà dall’11 al 13 una riunione a Roma di tutti i presidenti di conferenza episcopale del mondo che discuterà appunto delle linee guida generali sugli abusi.

L’arcivescovo Christophe Pierre, nunzio apostolico negli Stati Uniti, è stato in udienza da Papa Francesco l’8 novembre. Il 12 novembre ha tenuto un discorso davanti all’assemblea dei vescovi USA, e ha parlato proprio della crisi degli abusi che sta affrontando la Chiesa e del bisogno di riforme.

“Se la Chiesa deve riformare se stessa e le sue strutture, la riforma deve venire dalla sua missione di rendere noto Cristo, il figlio del Dio vivente”, ha detto, citando la Evangelii Gaudium.

Ci può essere, ha proseguito il nunzio, “la tentazione da parte di alcuni di lasciare ad altri le responsabilità di riforma, come se non fossimo più capaci di compiere riforme of fidarci di noi stessi, e come se il deposito di fiducia possa essere trasferito ad altre istituzioni interamente”.

Ma – ha aggiunto il nunzio – “per riconquistare fiducia non basta predicare parole sulla responsabilità, senza vivere le difficoltà di quella responsabilità, anche di fronte allle critiche”. Allo stesso tempo “non è in discussione che l’esperienza di esperti, i contributi professionali di tutti i fedeli, laici e clero, donne e uomini consacrati”.

Ricordando e apprezzando il lavoro svolto dalla Chiesa USA nell’affrontare la questione degli abusi, l’arcivescovo Pierre ha messo in luce che “c’è sempre di più da fare”, sebbene le misure prese “sono state importanti, hanno posto un esempio, hanno portato a un veloce declino dell’incidenza degli abusi riportati”. Ma si deve “rimanere vigili”, perché “anche un solo causo di abuso è troppo”. L’arcivescovo Pierre ha anche ringraziato i media per aver portato in luce il fenomeno, ha ricordato che l’autentica riforma è “ascoltare il vicario di Cristo”, delineando i tratti del vescovo secondo Papa Francesco, che deve essere “uomo di preghiera, uomo di proclamazione, uomo di comunione”.

Si congeda l’ambasciatore di Georgia presso la Santa Sede

Tamara Grzelidze, ambasciatore di Georgia presso la Santa Sede, è stata da Papa Francesco in visita di congedo il 15 novembre 2018. Teologa rinomata, che per anni ha lavorato nel Consiglio Mondiale delle Chiese, Grzelidze era ambasciatore della Georgia presso la Santa Sede dal settembre del 2014.

Come ultimo impegno ufficiale, ha accompagnato l’arcivescovo Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, in un viaggio in Georgia, fino alle zone del conflitto. Tra i momenti più importanti del suo mandato da ambasciatore presso la Santa Sede, il viaggio di Papa Francesco in Georgia nell’ottobre 2016.

La giornata dei diplomatici in Georgia

Dal congresso di Vienna del 1815, al nunzio apostolico viene attribuito “diritto di decananza” sugli altri ambasciatori residenti del Paese. Un riconoscimento di certo non dettato dal potere politico-temporale della Sede Apostolica, che era già molto debole, ma dovuto alla prerogativa spirituale del Papa come autorità religiosa.

Lo scorso 9 novembre, l’arcivescovo José Avelino Bettencourt, nunzio apostolico in Georgia, è stato chiamato come decano del Corpo diplomatico a rivolgere un discorso ai diplomatici accreditati in Georgia nella giornata a loro dedicata.

È la 13esima edizione della “Giornata del Diplomatico in Georgia”. Nel suo discorso, l’arcivescovo Bettencourt ha ricordato la lunga tradizione diplomatica di Georgia, che si rifà a figure come Nikoloz Irubakidze Cholokashvili e Sulkhan Saba Orbellani, diplomatici del XVI e XVII secolo cui era stata data la “missione impossibile di presentare gli interessi georgiani in terra straniera.

L’arcivescovo Bettencourt ha anche riconosciuto “l’inestimabile contributo diplomatico di Sua Santità Ilia II”, il quale ha da subito preparato una strada “per una Georgia indipendente e perché mantenesse relazioni tra gli Stati.

Il nunzio ha quindi ricordato che “il diplomatico è al fronte, è la faccia umana che incontra l’occasione, la prima e spesso duratura impressione di una nazione. L’arte della diplomazia non può essere qualificata in quantità, dato che il diplomatico prepara, accompagna e dà continuità alle relazioni tra gli Stati”.

Un nuovo ambasciatore di Bosnia presso la Santa Sede

Il 16 novembre, Josip Gelo, ambasciatore di Bosnia ed Erzegovina presso la Santa Sede, ha presentato a Papa Francesco le sue lettere credenziali.

Classe 1966, laureato in Teologia, ha avuto una carriera militare e poi una carriera da politico locale, prima di ricoprire, dal 2005 al 2016, l’incarico di direttore del Museo Francescano e Gallieria di Gorica, Livno, Bosnia ed Erzegoniva. Dal 2016 al 2018 ha servito come ambasciatore in Italia, Malta e San Marino, e rappresentante permanente presso la FAO.

Papa Francesco nomina il nunzio in Sierra Leone

L’arcivescovo Dagoberto Campos Salas aggiunge l’incarico di nunzio in Sierra Leone a quelli di nunzio in Liberia e Gambia. Il Papa lo ha nominato nunzio in Sierra Leone il 17 novembre. Era nunzio in Liberia dal 28 luglio e nunzio in Gambia dal 17 agosto.

In realtà, Liberia, Gambia e Sierra Leone fanno capo alla stessa nunziatura, che ha sede a Monrovia, in Liberia.

La delegazione apostolica della Liberia è stata istituita nel 1929, ed elevata al rango di internunziatura nel 1951. La nunziatura apostolica fu istituita nel marzo 1966 da Paolo VI. Sempre Paolo VI, nel 1970, ha sottratto con il breve Christi Amor i territori del Gambia e della Sierra Leone dalla delegazione apostolica dell’Africa Centro-Occidentale e li ha aggiunti alla delegazione della Liberia.

La notizia delle nomine è arrivata scaglionata perché si deve attendere il gradimento dei rispettivi governi alla presenza del diplomatico nel Paese.

Prima di essere nominato nunzio in Liberia, l’arcivescovo Dagoberto Campos Salas era consigliere della stessa nunziatura.

Nato a Puntarenas, in Costa Rica, il 14 marzo 1966, Campos Salas è stato ordinato sacerdote il 22 maggio 1994 ed incardinato a Tilarán-Liberia. Laureato in Diritto canonico, è entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede il 1° luglio 1999; ha prestato la propria opera presso le Nunziature apostoliche in Sudan, Cile, Svezia, Turchia e in Messico.