Roma , martedì, 3. marzo, 2015 12:20 (ACI Stampa).
“Don Giussani, ha tenuto fisso lo sguardo della sua vita e del suo cuore verso Cristo. Ha capito in questo modo che il cristianesimo non è un sistema intellettuale, un pacchetto di dogmi, un moralismo, ma che il cristianesimo è un incontro; una storia di amore; è un avvenimento.”
Joseph Ratzinger, cardinale e amico personale del “Gius” lo raccontava così. Era il 24 febbraio del 2005. Il Duomo di Milano era straripante di fedeli, come la piazza. Per il Prefetto della Congregazione della dottrina della fede era l’ultima grande uscita pubblica prima delle giornata che lo avrebbero portato al Soglio di Pietro meno di due mesi dopo.
Una omelia a braccio, dove c’era tutta la vita di un uomo che aveva attraversato il ’68 senza venirne contaminato, senza cedere alla “tentazione grande di trasformare il cristianesimo in un moralismo”. Perché se si sostituisce il credere con il fare, alla fine non si costruisce ma si divide.
Il cardinale lascia un messaggio chiaro ai giovani di Comunione e Liberazione, quelli di età e quelli di cuore, quelli che aspettano fuori e quelli che guardano la cerimonia in tv: “non perdiamo di vista Cristo, e non dimentichiamo che senza Dio non si costruisce niente di bene e che Dio rimane enigmatico se non riconosciuto nel volto di Cristo.”