Gualdo Tadino, 12 September, 2018 / 4:00 PM
La cittadina di oggi non è quella dei miei ricordi di giovinetta. Le strade del centro affollate e animate da persone frettolose, i saluti interminabili e le domande sempre uguali: “ Quando sei arrivata? quanto ti fermi?”
E quei negozi pieni di massaie che fanno la spesa per il pranzo e i bar la sera con i mariti e i turisti che mangiano gelati. Alla “ Rocchetta” si mangiava la “crescia col prosciutto” e nella fontana nuotavano i pesci rossi. Poi terremoti, crisi economiche e anche una alluvione, hanno stravolto tutto, il turismo è calato anche se l’artigianato è ancora un motivo di vanto per la gente del luogo.
Ma ci sono viuzze che ancora sanno di storia come Via della Rocca, impervia salita alla imponente Rocca Flea. Un tempo nelle sere d’estate ci si vedeva tutti lì, seduti sui banchetti chi chiacchierava e chi recitava il Santo Rosario.
E durante la Seconda Guerra Mondiale la strada era la più veloce per arrivare nei campi e mettersi al riparo dai bombardamenti. Di lassù i gualdesi sentivano il fumo acre che si innalzava verso il cielo buoi e guardavano atterriti i bagliori delle bombe.
D’inverno i gradini della scalinata gelano e la sfida è quella di non fare qualche brutta caduta. Alla mia famiglia piaceva abitare in via della Rocca, soprattutto alla mia mamma. Vicino abitava Nonna Maddalena, donna dal cuore grande che aiutava tutti i bisognoso del paese. Il suo funerale sembrava la festa del paese per quanta gente c’era.
La domenica mattina, dopo la messa, c’era la passeggiata di rito, con le ragazze con gli abiti stirati e inamidati. Altri tempi è vero. Ma certe cose sono sempre le stesse. Come la devozione al Patrono, il Beato Angelo. Si racconta che nacque in una famiglia molto povera, ciò non ostante fin da bambino donava quel poco che riusciva a racimolare ai poveri. E suscitava l’indignazione della madre che a stento, enon sempre, riusciva a sfamare la intera famiglia.
Evidentemente Angelo fin da piccolo possedeva quelle prerogative di disponibilità verso il prossimo e d bontà che lo avrebbero reso grande agli occhi di Dio.
Angelo pascolava un piccolo gregge, sua madre accudiva la loro piccola e povera casa. Faceva il pane tutti i giorni, era il loro unico nutrimento. La loro vita scorreva umilmente e piena di difficoltà, ma lui continuava a dare il suo poco ai poveri, tanto che un giorno su madre lo rimproverò molto e lui le augurò di morire presto. E l suo ritorno a casa la sera trovò la madre morta. Distrutto dal dolore fece penitenza per tutta la vita.
Si dice che quando morì lo ritrovarono inginocchiato, in atteggiamento di preghiera con lo sguardo al cielo e sollevato da terra. Ora riposa nella cattedrale di San Benedetto, e ogni anno il 15 gennaio nel luogo dove ritrovarono il suo corpo, germoglia un biancospino.
La sua storia la raccontano ancora le mamme di Gualdo Tadino. Mia mamma era molto devota al suo “compaesano” il beato Angelo da Casale. Un altro frutto della santità umbra, un’altra storia di vita di Gualdo che non dimentica la sua gente.
E c’è la chiesetta sulla cime di Serra Santa, la cima che sovrasta Gualdo Tadino, da sempre luogo di pellegrinaggio. Il percorso per arrivarci a piedi è difficoltoso. Ricordo il tempo nel quale con i miei genitori Armida e Guido, salivamo arrampicandoci su sassi e viottoli. Si correva per non sentire la fatica ma una volta giunti in cima lo spettacolo era grandioso. Laggiù il paesetto, con tutte le case ammucchiate, ci sembrava formasse la figura di un cuore. Un piccolo, grande cuore che suscitava una emozione straordinaria come lo scenario che si apre sulla vallata inebriata di sole, di aria fresca alla fine dell’estate.
Dopo tanti anni però il paese si è allargato verso una periferia senza forma, e se si arriva alla chiesetta di Serra Santa nessuno più distingue quel cuore, che pure è ancora il grande cuore della gente di Gualdo.
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